racconti

25 dicembre 2001

25 dicembre 2001. La data-capitolo dal libro “La rampicante” (LiberAria) nuova fatica di Davide Grittani. Ve ne proponiamo un estratto.

25 dicembre 2001
L’adunata del pranzo di Natale era sempre stata una faccenda riservata ai soli Graziosi. Per tradizione chiunque si trovasse a tiro – famigliari, congiunti, amici coi quali non si vedevano da anni – non era ammesso a quell’eucarestia: un modo per ricordare, innanzi tutto a sé stessi, che avevano sofferto la fame, che erano stati poveri in un modo troppo doloroso per poterlo raccontare; e per rinunciare a ogni rito senza doversi giustificare con nessuno, rifiutando la perversione della bontà, l’ossessione dei regali, la montagna di cibo consumato per noia e non per necessità.

Il fatto che la fortuna gli avesse sorriso mostrando per intero la dentiera, non li autorizzava a dimenticarsi da dove venivano.

Sor Cesare, così chiamavano il capo famiglia: ossequiosamente, biascicando la devozione dei provinciali nei confronti di chi ce l’ha fatta. Sor Graziosi, chissà poi perché, dal momento che non possedeva alcuna manualità, né rurale né artigianale né di altra natura. In cos’era sor, Cesare Graziosi?

Sapeva attrarre i soldi, esercitava un’irresistibile seduzione verso ciò che aveva valore materiale, e una volta che ne entrava in possesso riusciva a moltiplicarne capitale, ricavi e prospettive. Inspiegabilmente, a un certo punto della vita, aveva cominciato a essere inseguito dal denaro, ma correndo il rischio di sembrare ridicoli dovete sapere che anche quella – col tempo – diventa una malattia: ci si ritrova a invocare l’arrivo di figli, salute e magari felicità, mentre il destino spedisce sempre e solo banconote.

Per Sant’Elpidio sor Cesare era anche il papà di Riccardo e Isabella. Statura media, aspetto comune agli uomini sopra la cinquantina, caratterizzato da occhi gonfi e spessi come quelli delle rane, sopracciglia e capelli talmente folti che in paese s’insinuava li avesse trapiantati.

Indossava camicie attillate, inadatte a nascondere un ventre troppo sporgente per la sua età. Faceva l’agente di commercio, rappresentava aziende calzaturiere ma quando poteva si occupava anche di altro. Risolveva problemi, grazie all’epica involontaria dei marchigiani e allo zelo appiccicoso dei campani.

I suoi erano emigrati nelle Marche quando aveva quattro anni, se n’erano andati via da Napoli per fame, compiendo il “viaggio dei due mari senza mai toccare l’acqua” come amava descriverlo. Dal Tirreno all’Adriatico via terra, passando “da una vita di stenti a una di sacrifici”. E avevano avuto ragione, poiché i genitori di Cesare erano riusciti a riscattare la loro generazione e ad assicurare una solida base di partenza a quelle successive.

Una base che Cesare seppe trasformare in benessere, prima raddoppiando l’eredità della moglie, poi facendo attenzione a non esibire (quasi mai) i frutti del lavoro e dell’astuzia.