flânerie e viaggetti

San Pietro e l’ombra

San Pietro, l’ombra del suo colonnato in un ricordo di Tonino Guerra e Antonioni.



C’è un racconto dell’ultima raccolta pubblicata in vita da Tonino Guerra “Polvere di sole” (Bompiani) che mette insieme i due simboli più antichi del potere romano: il Quirinale e San Pietro. Tonino Guerra – che a Roma ha vissuto per anni, salvo poi ritornare nella sua Romagna – ci ha lasciato da poco. E ci ha lasciato molto. Un corpo sterminato di sceneggiature d’autore (per Fellini, Antonioni, Monicelli, De Sica, Anghelopoulos per dire solo alcuni), tante poesie in dialetto romagnolo (che piacquero a Pasolini e Contini), tanti libri che erano soprattutto idee. E quando erano trame lo erano in tutta la loro etimologia: fili che lui tirava mettendo sotto l’occhio del lettore sviluppi imprevisti, sorprendenti, magici, onirici.

polvere di sole

Nel racconto di cui dicevo (“All’ombra del presidente”), Guerra è davanti a Napolitano, al Quirinale, che attende alle celebrazioni dei premiati al David di Donatello 2010. E ricorda il pittore Vespignani che lo accompagna per le strade dei maestosi monumenti romani anni prima. Giunti a San Pietro “gli domandai come mai non ci fosse nessuno. ‘Tonino, guarda bene’ mi disse. Tutta la parte in ombra della piazza era strapiena di gente”. Questo episodio che lo sceneggiatore romagnolo cita – in chiave positiva – nel discorso di saluto al presidente e, quindi, nel racconto mi ha fatto rivenire in mente una delle caratteristiche meno felici del popolo romano anche se forse il suo elisir di lunga vita. Farsi ombra del potere o delle sue manifestazioni. Una caratteristica che, per fortuna, ha avuto molte varianti valorose e coraggiose, ma altre che ne riverberano il camaleontismo. E penso a quei film, che oggi rischiano di apparire un po’ oleografici da “Roma sparita”, come “Nell’anno del Signore” di Magni.

Il popolo (“vattene a casa popolo!”) – forse non solo quello romano – convive con le manifestazioni più ignominiose del potere, ci si adatta come a una scarpa un po’ stretta. Ma, se poi si ribella, non rinuncia alle manifestazioni del potere. Che gli impiccati siano impiccati! Lo spettacolo del sangue deve essere replicato. Nessuna città al mondo ha avuto così tanti poteri da servire o assecondare (spesso contemporaneamente e antiteticamente) e tanto bisogno di cercare un cono d’ombra dentro cui nascondere la sua debolezza, la sua impossibilità. Nessuna città ha dovuto forgiare la maestria dell’equidistanza né imparare quella sana imperturbabilità di fronte agli inganni della sorte o della storia. Eppure, concettualmente e anche naturalmente (per il buon clima) Roma non ha mai coltivato il portico come le città di un nord più piovoso. L’ombra è il bene di una Roma assolata, al bordo di questa piazza smisurata. E’ per questo che d’estate la maestosa grandezza di questo slargo trova nel doppio abbraccio del colonnato del Bernini un po’ di requie dal solleone. Anche se in quest’alba autunnale il ricordo sembra lontano come distanti sembrano i tempi delle ghigliottine e dei papi inquisitori.

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).