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Abruzzo, cristianità e caparbietà in un altrove

Le nostre vite sono ingiuste. Recensione di “Cristo fra i muratori” di Pietro Di Donato e “Son of Italy” di Pascal D’Angelo, due libri di emigranti abruzzesi.

Abruzzo, cristianità e caparbietà in un altrove

Quando parliamo di scrittori italo-americani pensiamo quasi unicamente a John Fante dimenticandoci invece di tanti altri autori la cui importanza letteraria e storica non meritava di essere sepolta. Diversi anni fa la casa editrice Avagliano ha pubblicato una bellissima raccolta a cura d el compianto Francesco Durante dal titolo “Figli di due mondi” che riusciva effettivamente a riverberare questa polifonia autoriale anche qui in Italia.

Fra questi autori poco conosciuti c’era anche Pietro Di Donato. Anche lui abruzzese, di Vasto, anche lui figlio di muratore come Fante. E muratore a sua volta. Professione che non lascerà mai pur essendo diventato anche uno scrittore. Recentemente la casa editrice Readerforblind ha ripescato e salvato dal generale oblio un paio di capolavori di italo-americani (o meglio di abruzzo-americani come Fante).

Il primo di cui voglio parlare è “Cristo fra i muratori” di Pietro Di Donato, appunto. Sandro Bonvissuto nella prefazione lo definisce (a ragione) il primo e unico romanzo proletario d’America. Talmente unico da essere solo come uno sparo nel buio della notte. Mutuando questa accorta similitudine io definirei questo libro potente come uno sparo nel silenzio della notte. Perché è un libro deflagrante.

Qualcosa che nessuno si aspettava. Ma che forse non ci aspettiamo nemmeno noi a quasi un secolo di distanza dal momento in cui è stato scritto. Un libro che parla al nostro presente e non per ricordarci che “una volta gli emigranti emarginati e sfruttati eravamo noi”.

Non è una lezione perché ovviamente in Italia non dovremmo sfruttare ed emarginare nessuno, punto. E non è che non dovremmo farlo a causa del nostro miserrimo passato. Non è per la lezione, dicevamo, ma è perché parla al nostro presente.

Perché il Lavoro, parola scritta in maiuscolo da Di Donato, è un’entità quasi viva. Una divinità da adorare ma anche un mostro quando, per i suoi biechi interessi superiori, non esita a stritolare gli esseri umani. Ma stritola quelli al gradino più basso. Come ancora oggi, dopo cento anni, qui, nella repubblica fondata sul lavoro, (e altrove) ancora succede.

E Cristo (e tutto il Pantheon delle divinità cattoliche) a momenti sembra essere fra i muratori come da titolo e a momenti, invece, assente ingiustificato. Del tutto. Fino al punto forse più eclatante del libro quando Paul il protagonista, il muratore bambino, il figlio di muratore, spezza un crocifisso. A significare che quel rapporto con le divinità si è rotto per sempre.

Divinità invocate nei momenti di difficoltà e a volte invece bestemmiate (ma anche questo è in fondo un modo di avocare a sé il loro presunto potere). Un libro di un lirismo toccante, perché questi muratori (probabilmente semi analfabeti) parlano con un tono davvero poetico e sentimentale.

E se il registro potrebbe sembrare dissonante ha invece la funzione di rendere ancora più vere e forti le scene di realtà che descrivono la fatica, il sudore e il sangue di queste genti dal passato contadino che lottano nel cuore della metropoli che li inghiotte. La lezione non c’è, non c’è il giudizio, non c’è la morale.

C’è solo il racconto. Come se il Paul poco più che bambino, alter ego dell’autore, venisse da noi e con semplicità e naturalezza ci dicesse: “Sai cosa mi è successo?” e cominciasse a raccontare. Se il libro è a tratti davvero drammatico conserva comunque un’ineguagliabile “freschezza” che lo rende unico.

Il secondo libro invece è “Son of Italy” di Pascal D’Angelo. Nato Pasquale a Introdacqua, un luogo sperduto nell’Abruzzo interno ma vicino a Sulmona dove era nato nientemeno che Ovidio.

Questo contadino semi analfabeta riesce in un’impresa che ha i contorni del miracolo: diventa un poeta negli Stati Uniti dove si trasferisce a 16 anni per lavorare come spacca pietre. Nella chiusura dell’America proibizionista del primo ventennio del XX secolo D’Angelo riesce nell’impossibile: imparare l’inglese da solo e scrivere poesie che verranno pubblicate su importanti riviste letterarie dell’epoca.

Questa autobiografia “Son of Italy” è veramente materiale da film: i primi capitoli dipingono un Abruzzo arretratissimo ma pur bucolico e poi il viaggio negli USA è un viaggio all’inferno ma con la redenzione. Il nostro, autore e protagonista, come si evince, dopo anni nella miseria più nera a toccare con il corpo l’abisso e il buio ma con l’anima i vertici più alti dell’aspirazione alla poesia e alla luce riesce a sfondare quel muro che si frappone fra lui e la possibilità di gridare la sua ‘arte per amore dell’arte’.

D’Angelo morirà giovane a soli 38 anni ma quella parabola breve brilla luminosa e incoraggiante. Mentre il punto di rottura del libro di Di Donato è il momento in cui spezza il crocifisso, quello di “Son of Italy” è quello in cui D’Angelo comincia a saper ridere delle sue immense sventure.

Da quel momento il protagonista trasforma il suo spirito sposando di fatto il sogno americano: per quanto vadano male le cose c’è sempre una speranza. Se anche 99 editori hanno rifiutato le sue poesie lui spera che il centesimo le pubblichi.

Di fatto finisce con l’unire la proverbiale caparbietà abruzzese con l’ottimismo americano. Non è solo un libro sull’emigrazione ma è anche un libro sul coraggio, la determinazione, la dedizione, la forza che spezza le catene di questo moderno Prometeo. Un libro da leggere e rileggere in cui ho trovato forti e potenti anche questi temi.

Un libro che può incoraggiare ma senza mai edulcorare quella che era la realtà si una vita ingiusta (parafrasando Di Donato). Capacità rara.




Laureata in storia a Bologna con tesi sul femminismo è insegnante e ricercatrice indipendente ed esperta di studi di genere.