flânerie e viaggetti

Caccia al Bioparco (senza navigatore satellitare)

Questo racconto è uscito sulle pagine romane de “l’Unità” il 19 febbraio 2006 con il titolo “Perdersi a Roma inseguendo il Bioparco. Un racconto che parte da via Casilina e segue le tante indicazioni, ma dell’ex giardino zoologico nessuna traccia”. Lo ripubblico così come uscì allora.


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Potrà magari apparire superato a chi è abituato ad impostare con complicati calcoli videocartografici una destinazione sul proprio navigatore satellitare per auto e poi seguire pedissequamente la monotona voce femminile ma ho deciso di tentare, con la stessa ottusità, a seguire i cartelli stradali che da casa mia portano al Bioparco. Va da sé che saprei come raggiungere l’ex-Giardino Zoologico anche bendato ma provo a mettermi nei panni dei tanti gitanti domenicali con prole a caccia di natura stracittadina a Villa Borghese.

Inizio da via Casilina, angolo Circonvallazione Casilina, dove inequivocabilmente il cartello marrone col logo (una zebra a strisce che sembra succhiare latte da una giraffa nera di sfondo) e la dicitura politicamente scorretta, ma largamente permanente, ZOO invitano a girare a destra. Fin qui tutto bene, anche perché la svolta è obbligatoria. Da questo momento in poi proseguo comandato dai sensi di marcia fino all’incrocio di ponte Casilino dove la freccia indica Porta Maggiore a destra. Qualcosa mi dice, a naso, che dovrei girare ma nessun logo né indicazione del Giardino Zoologico. Così vado avanti – velocità di crociera 40 km/h, riscaldamento spento – imbucando uno degli archi di piazza Lodi e proseguendo direzione via La Spezia. Non sarà che il navigatore satellitare è davvero diventato irrinunciabile guida di viaggi urbani? Ho dubbi che lo accroccherebbero su questa polo stagionata. O forse mi vergognerei io di fare la figura di quei james dean della mia infanzia con la 128 abarth, volante similpelle, foderine leopardate, cinture di sicurezza verticali e doppie stile rally, mezzo guantino (a cui oggi riconosco un certo fascino glamour) alla mano, manometri vari aggiunti che svettavano sul cruscotto bucato, spoleirone posteriore. Se c’era, anche una o due fiamme sulla fiancata laterale… così, tanto per passare inosservati.

Svolta della tangenziale: nulla. Nessun cartello. Proseguo. Mi imbatto solo in una indicazione di biblioteca comunale (c’è da riconoscere che sono tra le più frequentate dalla cartellonistica urbana romana) della omonima via ligure, la biblioteca Appia. Il logo rappresenta un libro aperto in obliquo e volante sullo sfondo di tomi neri. Ancora avanti e due cartelli con croce: una rossa indica la vicina Asl, l’altra – iscritta in un prospetto di chiesa – Santa Croce in Gerusalemme. Più avanti il doppio teorema delle croci si ripete con la Basilica di San Giovanni e l’ospedale omonimo. Di zoo e bioparco nessuna traccia. Piuttosto E.U.R. dritto e CENTRO a destra. Continuo dritto (fino a nuovo ordine) passando uno dei luoghi di appuntamento più usuali a Roma: Coin. Cerco di ricordare se ho mai visto il marciapiede antistante il magazzino senza qualcuno che facesse il solco nervosamente o guardasse in tralice dentro tutte le macchine in transito per capire da dove e come arriverà il salvatore da quella noia d’attesa. Banalmente avanzo, passando a destra l’abbandonato cinema Paris (che nostalgia!) fino a piazza Tuscolo dove svetta il logo di capitelli e colonne stilizzate a indicare il sito archeologico di Porta San Sebastiano e Appia Antica e i due pini verdi su sfondo marrone a riassumere il Parco degli Scipioni e via Latina. Ancora avanti, alla ricerca della targa con gli animali in questa caccia al tesoro viaria che sempre più svilisce la mia antimodernità. Il navigatore satellitare non è roba da smaniosi ipertecnologici è una vera e propria esigenza di orientamento. Il cd suona Antony and the Johnsons (una delle cose migliori accadute al mio udito nel 2005) e la macchina imbocca via Marco Polo e con essa una tangenziale fatta di dubbi definitivi.

Qualcosa non ha funzionato nella mia caccia all’insegna e mi rigiro. Nel breve succedersi di via Acaia e via Magna Grecia, a breve distanza, due cartelli AUDITORIUM e nessuno ZOO. Mi converto definitivamente alla bellezza fredda di quella voce campionata che mi guida a ‘girare a destra… fra duecento metri svoltare a sinistra…’ e recupero la leggenda dei tassinari che non sbagliano una strada. Quel piccolo gioco che si fa per pochi secondi sedendo dietro e sussurrando a bruciapelo una via per vedere la reazione del guidatore professionista che parte al volo per non dare soddisfazione. Provo a ricordare se li ho mai visti chiedere a qualche passante o sfogliare imbarazzati il tuttocittà: non mi risulta. Taxi a parte, forse è che la cartellonistica è superata – non il Bioparco stando alle statistiche che lo vedono al vertice degli sbigliettamenti – e davvero bisognerà munirsi di questi complessi sistemi di Global Positioning System (GPS), ‘una costellazione di 27 satelliti NAVSTAR (più alcuni di riserva) di proprietà del Governo degli Stati Uniti (nati per uso militare) – come leggo da Internet – che orbitano sopra la Terra, trasmettendo costantemente l’orario atomico e la posizione nello spazio’. Certo fa un po’ effetto sentirsi un congegno a precisione, parte di questo videogioco dai crismi bellicosi. Con tanto di longitudine e latitudine. Andare verso le gabbie degli oranghi come un tank verso un obiettivo strategico non può non evocare le sequenze di Underground di Kusturica in cui gli animali inermi dello zoo venivano fatti oggetto di un bombardamento senza vie di fuga. Anche la spensieratezza sembra segnare il passo per colpa della modernità.

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).