racconti

Campo Marzo, Vicenza

Campo Marzo è il racconto che estraiamo da “Veneti in controluce” (Fernandel) la raccolta di Ausilio Bertoli.

Come sono i Veneti? Laboriosi, determinati, creativi, a volte ipocriti, ottusi o trasgressivi. Ausilio Bertoli li racconta a partire dalla prosa asciutta ed esatta di Parise, fantasma-calco più volte evocato. Dall’esergo che mette insieme anche Fernando Bandini e Andrea Zanzotto come numi tutelari.

Campo Marzo

Corrono all’impazzata per il viale che taglia Campo Marzo, veloci come fulmini. Qualcosa è successo, ma cosa? o, veloci come fulmini. Qualcosa è successo, ma cosa?

Mi fermo a osservarli, la valigetta dei libri che struscia la gamba destra.

Una, due volanti piombano all’imbocco del viale e quattro poliziotti smontano per braccare quelli che corrono.

Hanno rapinato qualcuno? Sono zeppi di droga?

«Cos’hanno combinato, signora?» domando a una settantenne che, il cagnolino al guinzaglio, si è fermata contrariata accanto a me.

«Mah! Saranno spacciatori. Avranno spacciato cocaina o eroina. Campo Marzo è pieno di spacciatori, di clandestini e di microcriminali anche nostrani… È cosa nota, sul giornale continuano a pubblicare servizi, proteste, proposte per ridare ai vicentini il cosiddetto polmone verde. Lei è vicentino?»

«Vicentino di provincia».
«Io di città. Mi lasci dire che, a questo punto, fra trent’anni i vicentini di città saranno in minoranza e tra sessant’anni – non lo dico io, ma i demografi – comanderanno altri, imbrogliando la gente anche loro. D’altronde, per comandare bisogna imbrogliare, se non si imbroglia non si fanno passi avanti, si resta a bocca asciutta, cioè al palo. Come sono rimasta io».

«Dice, signora?»
«Dico, e lo ripeto. Perdoni se la penso in maniera diversa dalla sua, ma ciò che penso non me lo tengo dentro, a costo di beccarmi una denuncia. Sapesse quante ne ho prese, di denunce! Da un paio di portaborse. Più sei onesto e spifferi in giro la verità, più sei preso di mira. E nessuno ti salva. Nes-su-no. Mi hanno denunciata, il giudice mi ha condannata, ho fatto ricorso, adesso aspetto novità. Però sono pessimista. Non è mai stato denunciato, lei?»

«Anch’io, sì».
«Io per diffamazione, e lei?»
«Per stalking e violazione di domicilio».
«Con quella faccia d’angelo?» ride la donna. «E il pubblico ministero come si è comportato?»
«Mi ha salvato. Ma chi mi ha denunciato era stato denunciato da me per minacce e ingiurie».
«Bella, questa!»

«Signora, bisogna prender le cose con filosofia…»
«Con filosofia, certo, però con la filosofia a volte te lo a a volte te lo mettono nel posteriore e te lo girano come piace a chi ha i soldi, cioè a chi imbroglia, in altre parole a chi comanda».

I poliziotti desistono, non sono maratoneti. Ritornano alle volanti, ansimano e comunicano con la centrale.
La signora mi saluta scrollando la testa, una smorfia sul viso, e procede verso la stazione dei treni. Io riprendo il cammino dalla parte opposta, verso piazza Castello, e m’imbatto in un gruppetto di donne orientali, più d’una col bimbo per mano.

Vestono con eleganza, probabilmente sono turiste. Mi giro: i poliziotti le stanno scrutando e d’improvviso in tre si dirigono lesti verso di loro… No, verso un tizio nerboruto, il colorito olivastro, i jeans e la canotta, che si è avvicinato a loro per nascondersi. Senonché si sono immediatamente distaccate da lui, isolandolo. I poliziotti gli si parano allora davanti e gli chiedono i documenti.