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Cernobyl

Cernobyl: cosa ricordare? Partendo dalla graphic novel “Cernobyl. La zona” di Francisco Sánchez e Natacha Bustos (tunué).

“Nella vita le cose più terribili accadono in silenzio e in maniera naturale”. Questo l’esergo di Zoya Danilovna che apre “Cernobyl. La zona” di Francisco Sánchez e Natacha Bustos (per tunué, coraggioso e attento editore di Latina a cui dobbiamo traduzione – a cura di Diego Fiocco – ed edizione del volume).

Era il 26 aprile 1986, quando esplose il Reattore IV del Complesso Nucleare di Cernobyl. Chi c’era ricorda, gli altri si fanno ricordare ma qualche certezza oggi – dopo la tanta incertezza di quei giorni – la abbiamo. Non c’è dubbio che, anniversari a parte, la catastrofe nucleare russa abbia acceso parecchio buio nelle nostre vite. Non ho visto la serie HBO ma ho letto il libro: sembra un modo di dire ma è la verità, anche se spaiata. Nel profluvio di ricordi trentennali (citazioni ma anche criptotali, come ad esempio nell’altra serie “Dark”, questa Netflix) ecco una autonoma graphic novel, organizzata per racconti, dall’aria tetra ma poetica dedicata al disastro. Una rappresentazione silente e dal gusto nero che finisce per restituire tutta la gravità dell’evento. Lo fa attraverso il segno contratto delle labbra dei protagonisti di quell’orrore così necessariamente trattenuto che finisce per contagiare persino la bocca di Lenin nei quadri e delle matrioske sulle mensole. Uno dei tanti segni grafici del libro che evidenziano il dramma.

Persino la luna nei disegni della Bustos – brillante nei ritratti come nei paesaggi – finisce per sembrare contaminata. Mentre alla sua luce fioca un contadino prova ad arare nel disperato augurio “torneremo a coltivare la terra” che finisce per risultare ottuso. Se è vero che la terra è di chi la coltiva cosa succede quando diventa impossibile coltivarla? E cosa succede quando la radioattività rende innaturale la vita e la sua prosecuzione? In realtà Cernobyl è la storia oltre che di una deportazione, di una rimozione come ricorda il Alvaro Colomer nell’introduzione:

“Si decretò anche l’evacuazione dei paesi più vicini. Si giunse a questo dopo che venne scoperto il cosiddetto Bosco Rosso. Spuntarono nelle piante foglie di colore rosso e le autorità compresero che la radioattività stava alterando il codice genetico degli esseri viventi. All’istante vennero prelevate dai loro villaggi trecentomila persone che furono obbligate a salire su degli autobus per essere dislocate in altri posti. Poi sono arrivate le ruspe. Dapprima si fece un’enorme fossa, dopodiché si demolirono le case e infine si seppellirono le macerie. Così sono scomparsi decine di comuni e un bosco diventato rosso. La Zona Contaminata fu recintata”.

Una rimozione doppia o tripla. Cernobyl è stata, infatti, l’unica grande catastrofe non vista in diretta tv in anni in cui tutto era “visto in tv”. Da essa, forse a causa di questo “fine delle trasmissioni”, è originata una mitopoietica cupa e disfattista, una serie di complottistiche versioni e un inevitabile conseguente effetto distopico. Ma anche sì tanti tumori e genetica a ramengo e quindi tanta rabbia segreta e inconscia che però il tempo ha rimosso con dispensa di tutti i pericoli conseguenti dall’uso dell’energia nucleare. Certo è vero: ci manca un Grande Sogno Collettivo. Ma non ci manca il Grande Incubo Collettivo che consegue a sogni artificiosi, innaturali. Purtroppo una parvenza dell’uno e una versione “lite” dell’altro li abbiamo lo stesso ma abbiamo anche sviluppato antenne per riconoscerli se non antidoti per curarli e sconfiggerli.

Ricordare serve e questa graphic novel merita di finire tra le strade più efficaci per tutta la capacità che ha di fissare questo dolore storico alla quotidianità, l’unico vero antidoto alla rimozione – a quella tecnica, a quella politica e a quella economica – e a come essa si presenta.

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).