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Cicerone, infatti

Cicerone, infatti. Sì, proprio lui. La biografia di “Cicerone” (traduzione dal tedesco di Massimo De Pascale) di Stefan Zweig (Castelvecchi) ci riporta in una assordante assonanza che fingiamo di non sentire. Al Palatino, e all’antica Frascati.




“La scelta più saggia, per un uomo intelligente ma non particolarmente coraggioso che si trovi alle prese con qualcuno più forte di lui, è di evitarlo e restarsene in disparte senza vergognarsi, in attesa di una svolta che possa sgombrargli nuovamente il campo”.

Inizia così Stefan Zweig a parlare di Marco Tullio Cicerone, il primo umanista dell’Impero romano, in una biografia in 48 pagine. Il più forte è Giulio Cesare. Un forte, in verità, che non ha bisogno come i veri forti di stravincere. E grazia Cicerone, oppositore ormai inoffensivo, senza cercare di umiliarlo. Un tema – quello della forza che vince ma non cerca di stravincere – che passa dalle grandi saghe nordiche a Gomorra La Serie.

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Eppure Cicero che “ha posseduto la più bella dimora sul Palatino e gli è toccato vederla in macerie, devastata e incendiata dai nemici” non capitola. Di necessità virtù lascia la politica per dedicarsi a sessant’anni suonati alla res privata. “Lascia Roma – racconta Zweig –, la metropoli caotica, e fa ritorno a Tusculum, l’odierna Frascati, nella sua casa circondata da uno dei più bei paesaggi italiani”. Gli amici salgono a trovarlo nel suo buen retiro di campagna, dove ha allestito una meravigliosa biblioteca, un’autentica miniera di saggezza. Con lui la figlia e una nuova compagna più giovane di lei. Qui nascono capolavori come il “De oratore”, il “De consolatione” e il “De senectute”.

Ma arrivano le idi di Marzo con tutto quello che questo ci ricorda. La morte di Cesare lo trova reattivo e di nuovo sulla breccia ma l’illusione della libertà dura poco e scopre che “invece del bene di Roma, l’unica sacra causa, tutti perseguono il proprio vantaggio personale”.

Lo so cosa state pensando. Tre, due, uno… Già, la storia ritorna. E Cicerone si fa ritrovare inerme a fare ritorno bell’otium questa volta a Pozzuoli dove,nell’autunno dell’anno 44 compone il capolavoro dei capolavori, il “De officiis” ovvero “la dottrina dei doveri che l’uomo libero e onesto ha verso se stesso e verso lo Stato”.




In soldoni, per citare il Cicero: “Finché la Repubblica è stata governata da uomini che si era scelta da sola, ho dedicato ad essa tutte le mie forze e i miei pensieri. Ma da quando tutto è caduto sotto il dominio di un solo individuo non c’è più stato spazio per me nelle cariche pubbliche”.

Tutto il resto è storia (anch’essa ahinoi ripetitiva). E questa imprescindibile biografia di Stefan Zweig, una della serie che meritoriamente Castelvecchi sta ripubblicando.