flânerie e viaggetti

Gli spifferi del Ghetto

E’ raro che un libro prenda più spazio di quei 10 centimetri per 18 che di solito inquadrano un tascabile (formato a cui più o meno tutti gli editori si sono adattati per le loro “novità”). Quando poi il libro sceglie un formato più grande il direttamente proporzionale diventa una legge purtroppo dolorosa (verificate le classifiche di vendita!). Eppure in questo caso ho per le mani pagine che hanno una persistenza che va al di là della debolezza strutturale della carta. Il libro di Giacoma Limentani “Trilogia” (Iacobelli), che raccoglie sotto questo titolo tre prove narrative assimilabili e già uscite separatamente, non può finire in mezzo a ricettari o romanzi-viatici per una nuova allegra o barzotta sessualità.

La Limentani che si muove per le strade del Ghetto, la piazza Giudia del Portico d’Ottavia, la Sinagoga e i suoi dintorni racconta una Roma che c’è ancora ma per fortuna non con lo stesso dolore che dipinge nei giorni del fascismo antisemita. La scrittura si mette al servizio del dolore e fa di uno stupro un punto di non ritorno dell’infanzia (in “In contumacia”). Ma come è il Ghetto?

trilogia limentaniLa Limentani lo fa dire al personaggio dello zio Carlo con parole ariose e di grande forza immaginifica: “Il ghetto, e per ghetto non intendo solo le stradine intorno a piazza Giudia, può essere padre specifico e padre generico per i figli che vi rimangono attaccati. E’ pieno di spifferi come una vecchia casa di famiglia, ma sono spifferi familiari, appunto, e quando la bufera viene da fuori, vi soffia per tutti allo stesso modo. Io ho scelto di restarvi all’ancora. Tuo padre ne è uscito”.

La diaspora dell’ebreo non ha mai avuto fine e dubitiamo che il Ghetto lo dimostri anche oggi nelle locazioni degli appartamenti. Eppure andarci a passare una serata rischia di avere una
sua bellezza, in contumacia per dirla con la Limentani. L’ora in cui lo preferisco è quella dell’aperitivo. E non per l’aperitivo. Ma perché vi si respira l’aria di un paese. Qualcosa tra il leopardiano in salsa iper-romana e il confortevole scambio di legami atavici a cui ci viene regalato di poter assistere come nelle pagine di un libro di Alessandro Piperno. Magari pensando a certe adolescenze pruriginose o sognanti.

Poi so come deve finire la serata: a piazza delle Cinque Scole, dalla Sora Margherita. Tra carciofi alla giudia, baccalà con uvetta e altre amenità invernali di cui però mi trovo a fare menzione in questo alternamente torrido luglio in cui scrivo. Il tuffo nel corridoio della trattoria non sarà scevro di afrori di frittura. Eppure ci piacerà riporre nel cesto della biancheria sporca il segno inequivocabile di una presenza che dirime passato e presente.
Anche per contrastare la sempre più asettica persistenza degli odori nei luoghi che ormai rischiamo di amare senza olfatto.

Da fare
Pranzo o cena da Sora Margherita in piazza delle Cinque Scole tel. 066874216
Dolci alla pasticceria viennese “La Dolceroma” tel. 0645470303

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).