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La RCA a via Tiburtina

La RCA a via Tiburtina. Cosa sarebbe stata l’Italia musicale senza questa etichetta e senza Ennio Melis? Non sfugge a nessuno la questione ma vale la pena leggere questa biografia di un tempo e di dischi. Noi ci fermiamo su un luogo romano. Paradossalmente, romano. In un’epoca in cui i dischi giravano a Milano. Leggete Ennio Melis “Storia della RCA. La grande pentola” (a cura di Anna Maria Angiolini Melis ed Elisa De Bartolo, con una nota di Franco Migliacci) Zona editore.


Dunque. C’era una volta un grande terreno incolto, come centinaia d’altri, nella grande campagna romana.
Ci passava l’antica via Tiburtina, che portava ai monti e alle ville dove i Romani andavano a riposare e a prendere il fresco nel periodo estivo. In questi campi fra l’Urbe e il resto del mondo pascolavano le pecore, con i loro cani bravi e i selvatici pecorai.

Col passare dei secoli, ma soprattutto con il rincaro del pecorino dovuto alla guerra, i pecorai ebbero, come dire, la possibilità di far quattrini con il formaggio, e con quello acquistarono e pagarono i terreni, compreso quello in capoverso.

Il proprietario di quel gran terreno incolto era evidentemente un uomo fortunato: l’industria moderna avanzava lungo la via Tiburtina, per congiungersi con quella antichissima del travertino, sicché il posto era il più adatto a costruirci uno stabilimento. Fu così che un ingegnere angloamericano, di nome Antonino Biondo, venne chiamato a scegliere un’area per la fabbrica di dischi – che allora si realizzavano in shellac, una resina naturale, la vinilite non era ancora arrivata.

L’ingegnere Biondo mise gli occhi su quel grande terreno in- colto e la prestigiosa multinazionale americana specializzata nelle più avanzate tecniche elettroniche, la RCA – Radio Corporation of America, l’acquistò. Con questa operazione, l’ex pecoraio e ormai anche ex proprietario si arricchì ancora di più.
Nasce così nel ’51 una Società per Azioni controllata per il 90 percento dalla casa madre statunitense, e per il 10 percento dal Vaticano tramite lo IOR, l’Istituto per le Opere di Religione.




La prima ragione sociale è Radio e Televisione italiana S.p.A. – RTI – ma pochi mesi dopo viene cambiata definitivamente in RCA Italiana S.p.A.. È necessario dire che, inizialmente, la direzione e gli uffici sono in via Giulio Caccini, accanto a Villa Borghese. Direttore artistico è Massimo Trovajoli, fratello del grande Armando.
Quindi, dopo gli “inviti” del conte e del Pontefice, mi reco presso la direzione per capire da dove, eventualmente, cominciare a intervenire, e trovo una situazione tipicamente italiana: uffici lussuosi, molti posti di lavoro inutili, insomma spese superiori alle entrate e ai finanziamenti. Capisco meglio il motivo per cui gli americani ne chiedono la chiusura, per loro è solo una remissione.

Dopo un’attenta ricognizione, parlo con il conte Galeazzi per prospettargli la mia ipotesi. Suggerisco che, purtroppo, se vogliamo salvare il salvabile, ci sono decisioni dolorose da prendere, senza perdere altro tempo.
A dire il vero il conte non mi dà neanche modo di spiegare come io sia giunto a tali conclusioni, mi lascia subito carta bianca con un perentorio: “Faccia quello che lei ritiene sia la cosa più giusta, da questo momento ogni decisione è sua, licenziamenti ed eventuali assunzioni dipenderanno da lei”.

Fa presto a parlare, il conte, di decisioni e libertà d’azione, ma se trovo difficoltà nell’impresa e tutto va storto? Se i problemi sono più grossi di quanto appaia, sarò capace di trovare la soluzione più opportuna? Il bandolo della matassa l’ho individuato, ma dipanare la faccenda dove mi porterà? E se sbaglio? mi riprenderanno ancora a lavorare in Vaticano?

Bisogna sapere che a capo della direzione, all’apertura nel ’51 degli uffici di via Caccini, gli americani han messo l’ingegnere Antonino Biondo, lo stesso incaricato per la scelta del terreno. Evidentemente, pur cercando di fare bene il proprio lavoro, l’ingegnere non è stato all’altezza di far decollare l’impianto e, avendo gli americani fretta di realizzare e soprattutto rifarsi del mancato guadagno, dopo un po’ Biondo viene sostituito da un italocanadese, tale signor Casella.




Il 19 maggio del ’56, dopo un’attenta disamina dei fatti, ho modo di ragguagliare il conte Galeazzi sulla situazione che si prospetta. Dall’uscita dell’ingegner Biondo, la compagnia non ha più avuto un managing director vero e proprio sino all’arrivo del signor Casella, il quale dimostra serietà, decisione e molta buona volontà nel provare a districare la complessa situazione che si è creata. Purtroppo, però, le condizioni della RCA non possono essere risollevate in breve tempo: il signor Casella ha altri impegni in Canada, vorrebbe dare al più presto un assetto funzionale alla società, ripromettendosi poi di seguirla a distanza, man- tenendo i contatti con i dirigenti e con il consiglio di amministrazione.

Il signor Casella è consapevole dei problemi evidenti che attanagliano l’azienda, ma non può cogliere fino in fondo i peculiari aspetti organizzativi ed economici della sede di Roma, data la sua completa e comprensibile ignoranza di tutto il complesso ambientale italiano, che ha caratteristiche ben diverse e contrastanti con quelle americane. La presenza del signor Casella riesce, a ogni modo, utile a dare alla società un nuovo stimolo organizzativo interno, non dà però alcun contributo all’espansione: l’estraneità del dirigente al contesto crea anzi nuove e involontarie difficoltà.

Casella potrebbe utilmente continuare la sua opera di riorganizzazione interna, però, per preparare la strada a un dirigente italiano di vasta esperienza e profonda conoscenza, sia del mercato che delle varie organizzazioni italiane ed europee, per dare alla RCA Italiana il tanto necessario e agognato sviluppo.
E così arrivano in forza due “esperti” americani, per le vendite dei dischi e del materiale elettronico, ma hanno bisogno di un lungo periodo di ambientamento prima di dare buoni frutti.

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Per uno dei due si riscontrano inconvenienti tanto seri che viene ritenuto non idoneo a continuare la sua collaborazione con la RCA Italiana, non sembra che abbia saputo risolvere alcun problema con qualche profitto per la società. Non si ritiene abbia la capacità e le qualità organizzative per il delicato lavoro che dovrebbe svolgere, in ambiente anche a lui sconosciuto e nel quale, tra l’altro, non si è saputo certo guadagnare simpatia e considerazione.

L’altro “esperto” potrà essere giudicato meglio solo fra qualche tempo, dato che i risultati del suo lavoro richiedono un più lungo periodo di preparazione.
Mi rendo conto che ciò che ha portato la RCA Italiana al dissesto sono anche agli errori dovuti proprio alla diversa mentalità americana. Loro sono abituati a una grande società e a un gran mercato. Volendo dire la mia, però, ho la netta sensazione che ai due manager inviati dall’America mancasse non solo la capacità organizzativa italiana ma pure quella americana.

Lo sforzo della casa madre di New York è ben comprensibile, con l’invio di un folto gruppo di tecnici ed esperti si ritiene che le cose debbano radicalmente mutare in bene. E per quanto riguarda la produzione di dischi i consigli degli americani sono di grande utilità, ma per quanto riguarda invece la situazione economica e l’impostazione societaria, rispetto alle attività e ai contatti con l’esterno della sede italiana, la faccenda si complica.

Si potrebbe anzi supporre che le strategie dei due salesman americani non siano del tutto felici, mancando appunto l’esperienza italiana ma anche la volontà di chiedere consigli agli autoctoni (e soprattutto accettarli). Il connubio sarebbe di grande aiuto, per amalgamare le rispettive forme di interpretazione del lavoro. Ma niente da fare.
Da parte dei due è anzi chiara una certa tendenza all’isolamento e all’indipendenza (in qualche caso anche intransigenza, si ritengono superiori a tutti) ma mal gliene incoglie: vengono richiamati all’ordine dal managing director, il signor Casella.

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Tutto ciò porta alle conclusioni: è oltremodo necessario dare alla società una direzione univoca, italiana, con al vertice una persona con maggiore esperienza e autorevolezza che sappia guidare la RCA a nuovi obiettivi di sviluppo e prestigio. In breve tempo si procede alla nomina dell’ingegner Vaccari, ancora indicato dall’America; ma pure lui ha altri affari da seguire, fa ben poco nel suo ruolo e io rischio l’esaurimento nervoso a opera sua, perché con la sua cocciuta presunzione rischia di mandare gambe all’aria il progetto che sta prendendo corpo nella mia mente.

Per un gioco perverso l’America, con queste scelte, sembra remare contro i suoi stessi interessi. E l’invio a Roma di manager con mentalità americana da applicare in campo italiano è chiaramente una scelta sbagliata.
In ogni caso si deve sempre considerare che risultati potranno ottenersi soltanto entro un certo periodo di tempo, si deve lasciar modo a un dirigente di attuare la sua riorganizzazione interna e la reimpostazione generale della società senza assilli. E al momento c’è l’assillo di imprescindibili risultati immediati, bisogna guadagnare, guadagnare a ogni costo.

Molte industrie americane hanno saputo inserirsi vantaggiosamente nel nostro mercato, adottando appunto le misure che si consiglierebbero anche in questo caso, lasciando cioè che il grande potenziale tecnico e tecnologico a disposizione sia sfruttato opportunamente dagli italiani. Il meglio di questa possibilità di adattamento alle nostre caratteristiche ambientali, da parte degli americani, si è sviluppato all’interno della Squibb, per esempio.
Il capitale sociale della RCA si riduce a 104 milioni di lire, dai quali devono essere detratti circa 29 milioni per le spese organizzative di avviamento (deferred charges). Risulta quindi meno di un terzo di quello iniziale. Sarà necessario reintegrarlo al più presto. Nell’immediato si noteranno i gravami dei maggiori interessi passivi, valutabili in circa un milione e mezzo di lire al mese, ma il reintegro del capitale sociale ridurrebbe notevolmente l’esborso.

Le vendite iniziano a seguire una linea leggermente ascendente ma comunque insufficiente a tenere lo stabilimento su un piano minimo di produttività economica, la cui soglia è a 50.000 dischi almeno. A questa soglia non si arriva, con conseguente appesantimento dell’inventario e notevoli perdite derivanti dalle spese fisse. Anche le spese degli esperti americani gravano sul bilancio. Si prevede ammontino a 500.000 lire mensili.
Chissà perché gli americani a questo inutile esborso di denaro non fanno caso, credendo forse di ottenere, dalla folta schiera di esperti a libro paga, l’unzione santa ai propri guai.

Anche i necessari licenziamenti apportano un ulteriore onere, benché momentaneo, per le liquidazioni.
I benefici saranno sì notevoli ma nel futuro, e precipuamente se si potrà rinnovare il personale, portandolo a un maggiore grado di efficienza.
È necessario che le vendite siano potenziate e dirette con oculatezza. In più, con una scrupolosa amministrazione, l’esercizio del 1956 potrebbe chiudere in pari, o con qualche piccolo utile, mentre il 1957 dovrebbe segnare l’anno della rimonta. A questa valutazione arrivo consultando i documenti che mi vengono messi a disposizione
L’impresa è titanica ma con una buona dose di ottimismo (o incoscienza?) accetto la sfida, mi occuperò di musica e canzoni.




Mi è stato di grande aiuto paragonare la costruzione della mia vita con quella della RCA, e il confronto, in grande, ha dato il medesimo risultato. Risparmiare sulle cose superflue, eliminare le spese inutili, valorizzare i miei lavori scritti perché fruttassero e riflettere con accortezza su cos’era meglio per me è stata la ricetta della mia vita, ed ecco che ora mi tornava utile, anche se in ballo non c’era niente di mio, piuttosto la responsabilità che mi era stata affidata dalle due eminenti personaggi: ma andava vagliata nella stessa misura.
Rinunciare, tagliare, sostituire, ponderare è stato il corollario di ogni azione, per non lasciare niente al caso, filtrando ogni piccolo dettaglio, prevenendo ogni comoda euforia e mettendo soprattutto al bando facili esaltazioni.

Per carità, non mi si tacci di martirio, ma quando si dice “l’insegnamento della vita”, e normalmente pare una frase fatta, bene quella frase si è forgiata addosso a me.
Prima di andare avanti, devo necessariamente fare una premessa, propedeutica per chi si accinge a leggere questo mio “libro verità”.
È doveroso da parte mia mettere a conoscenza i lettori di fatti concreti, tacitando tutti quelli che hanno narrato, a modo loro, e con qualche menzogna, gli anni della mia presenza e la mia funzione in RCA. Peraltro, le date e i documenti parlano chiaro.

Senza falsa retorica o trionfalismi gratuiti, è il caso di dire… In principio fu Ennio Melis.
Non sono io che mi autoincenso, è la storia che racconta per me. Tutti i collaboratori arrivati dopo il ’56, quindi dopo che ebbi assunto il mio incarico, selezionati da me, parlano solo su ricordi circostanziati del loro arrivo, della loro permanenza in azienda e del lavoro che fu loro assegnato, secondo le capacità individuali. Ma qualcuno, probabilmente mosso da rancori accumulati nel tempo, per non aver avuto la possibilità di esercitare il suo pensiero o – meglio ancora – il suo volere, ha dato vita a distorsioni che inquinano la mia storia, fatta di verità inconfutabili, come il venticello della calunnia. Queste distorsioni hanno generato su di me varie leggende metropolitane.

È assurdo avere la pretesa di giudicare una persona se non si conosce il suo background.
Non ho mai amato il presenzialismo a tutti i costi, ma la mia vigilanza, la mia attenzione è sempre stata tesa a costruire un’immagine che andava salvaguardata, al di là di fotografie e primi piani. Questo è un piacere che ho lasciato ai più vanesi.




Il mio impegno ha sempre avuto un preciso obiettivo: costruire, essere e non apparire.
Tante volte con alcuni miei collaboratori sono stato inflessibile, specie quando mi rendevo conto che il loro operato avrebbe potuto, in qualche maniera, anche involontariamente, ledere la parola e l’impegno che mi ero assunto verso chi riponeva in me la propria fiducia. Mi era stata affidata un’azienda sull’orlo del fallimento, è vero, ma con delle potenzialità enormi, tant’è che in seguito è diventata il colosso discografico che risponde al nome di RCA Italiana.

Non è stato facile riuscire in questa gigantesca impresa. Pensandoci bene, benché a cose fatte, bastò cambiare l’andazzo; insomma, andare in controtendenza. Mi è servito moltissimo il mio carattere, da molti considerato fin troppo duro, da commissario di polizia (come qualcuno mi ha soprannominato), che diventava ancor più granitico di fronte alle decisioni più dolorose ma che ahimè andavano prese, a cominciare dal licenziamento di oltre la metà dei ciondoloni che occupavano posti inutili. Per farlo ci è voluta molta scorza.