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Luca Ricci

Intervista a Luca Ricci. Grazie a lui e alla sua ultima (non solo a questa, ovviamente) raccolta di racconti (“I difetti fondamentali”, Rizzoli) si sta parlando tanto di narrativa breve ed era ora.




Il tuo giudizio su Roma si accompagna a confronti non facili. Il classico dei classici è Roma/Milano. Tu te la cavi così: “Roma è una matrona ancora attraente, Milano è una fotomodella anoressica di quelle che si vedono qui in certi cartelloni pubblicitari. Baldracche tutt’e due, s’intende”. Ti va di rimettere voce a questo confronto?

Mi sembra che a Roma si vada per vedere il passato, mentre a Milano per vedere il futuro. Secondo me conta molto il fatto meteorologico, il tipo di luce che c’è. Roma può permettersi indolenza (immobilismo) e menefreghismo (corruzione) perché ha il sole; Milano invece deve essere attiva (dinamica) e premurosa (proba) perché non ce l’ha. La gente a Roma alle quattro del pomeriggio si scansa; a Milano si augurano già buonasera, ma non è educazione, è un modo di farsi coraggio per il buio che incombe.

Per rimanere ai luoghi. Sei nato a Pisa. Non so perché ma Pisa a me sa di gite scolastiche. Un luogo in cui ti portano per vedere la torre e stop, immagini che segmentano quella piazza. Recentemente tu hai dedicato una trasmissione a San Michele degli Scalzi. Ti chiederei quanto la Torre ha offuscato le bellezze pisane e come porresti rimedio a questo bozzettismo.

Bisognerebbe chiudere al pubblico piazza dei Miracoli per un anno o due, e far girare i turisti per il resto della città. A parte le provocazioni, nessuno sa che i lungarni pisani sono bellissimi, tutti associano l’Arno a Firenze, a Ponte Vecchio, dove i marciapiedi sono stretti e la strada trafficata, non si può camminare da ponte a ponte, un vero orrore…

Questo non è solo campanilismo, ovviamente, le “attrazioni” meno fortunate- tipo appunto il complesso di San Michele degli Scalzi, che ha una torre campanaria che pende più della famosa Torre di Pisa- rammentano al visitatore come si dovrebbe sempre guardare ogni opera d’arte: senza ressa, senza audiolibri e macchine fotografiche…

Sei uno di quegli autori a cui è stato concesso di esprimersi con la narrativa breve senza opporgli la morale “sì ma finché non c’è la prova del romanzo…” Per fortuna! Qual è stata la tua scuola di racconti? E, per inciso, visto che si tende sempre ad americanizzare il magistero, mi dici da chi si può imparare secondo te nella letteratura italiana la scrittura breve?

La mia scuola è stata Maupassant. Mi offriva un piacere allo stesso tempo sensuale e intellettuale, come ritmica e velocità- verticalità- si avvicinava al piacere che all’epoca (ero adolescente) mi dava la musica punk, con la sua sublime sgangheratezza; anche Maupassant in un certo senso è sgangherato, ha fretta di arrivare al punto, non gliene importa nulla di filosofeggiare troppo (anche in quei racconti che tutto sommato sono piccoli trattatelli esistenzialisti tipo “Solitudine”).

Dopo sono arrivati anche tantissimi autori italiani, e al primo posto metto senza dubbio il Buzzati di “Sette piani” e di “Eppure battono alla porta”, racconti perfetti nella loro scansione narrativa (c’è un’aderenza perfetta tra narratore e fatti).

Tornando a Roma, scrivi: “Se c’è forse una cosa su cui i romani non scherzano sono le terrazze. Sì, perché senza una terrazza a Roma non esisti, che tu ci organizzi un rave party o un premio letterario, una partita a burraco o un lunch d’affari. La terrazza è un fatto pubblico prima che privato, i romani la esibiscono, la ostentano, e quanto più il belvedere è di prestigio tanto più il potere e lo status sociale salgono (in ordine crescente: vista Gasometro, vista Olimpico, vista Colosseo, vista San Pietro)”. E’ così, sì, è vero. ma forse in genere vale per l’atto del “vantarsi” (o “vantasse”) che impregna il racconto sul Ninfeo del Premio Strega.

Ciascuno si vanta a seconda delle caratteristiche del suo piccolo o grande ecostistema, perciò torniamo alla luce romana. Grazie al bel tempo e al sole grasso e panciuto di Roma – riprendendo un’immagine di Manganelli mi verrebbe da dire che a Roma c’è un “sole definitivo” – la terrazza diventa imprescindibile, e la gara sull’ostentazione si gioca (anche) su quell’elemento più che su altro.




“Tutto il Circo Barnum dell’arrapamento e delle relazioni sociali su internet si era evoluto”, ti cito ancora. Non c’è dubbio che a te interessi molto il costume, il sesso – e penso al racconto su Cap d’Agde che è un luogo che merita sicuramente una riflessione antropologico-geografica -, i luoghi e i modi in cui ci esprimiamo in relazione. Ti sei chiesto perché (è così delle origini: io ho la tua raccolta d’esordio nella mia biblioteca)?

Direi che questo interesse per i luoghi è nato solo con l’ultima raccolta “I difetti fondamentali”, anche se è un interesse relativo, nel senso che in fin dei conti i luoghi sono funzionali alle storie, sono come set cinematografici, anche volutamente resi in modo esteriore, grossolano; niente a che vedere insomma col lavoro di altri scrittori che invece vogliono proprio raccontare i luoghi, la narrazione del luogo diventa uno dei fini che si propongono, penso soprattutto a uno come Franco Arminio, non a caso definito “paesologo”.

I miei racconti precedenti invece nascevano con l’intento di occuparsi principalmente di quel grande non-luogo che è la “casa”, non-luogo perché spazio chiuso, interno, privato, intimo, e potenzialmente rappresentabile con pochi elementi prosaici subito riconoscibili da qualsiasi lettore.

In un racconto c’è un incipit sontuosamente naturalistico: “Dario Bo se lo tiene tra pollice e indice – dita opponibili, la trovata che ha vòlto la scimmia in uomo –, senza combinare granché”. Glissando sul resto (e un po’ per sorridere, diciamo): cosa pensi su evoluzionismo e creazionismo?

In letteratura evoluzionismo (una storia delle idee e del linguaggio che configurano narrazioni progressive) e creazionismo (l’autore come creatore che ricombina elementi universali sempre identici a se stessi e trascendenti) possono convivere. Le ultime tendenze critiche ad esempio potrebbero essere sintetizzate nel lavoro asettico sui valori medi della produzione mondiale di Franco Moretti e, all’opposto, nel canone ancora romantico di Harold Bloom. Bene, mi tengo entrambi.

Mi ha divertito in un tuo racconto tratto da “I difetti fondamentali” la lista degli “imbecilli”. Merita un rap. Una catalogazione che dà tanta liberazione come un salmo, una preghiera. hai dimenticato qualcuno?

Un imbecille grandissimo, dedicato alla promozione di questo libro di racconti, potrebbe essere questo: quell’imbecille (in genere uno scrittore meno bravo di te) che ti chiede il PDF del libro in antemprima e poi a seguire il libro cartaceo per recensione sul giornaletto digitale che dirige, e poi non esce niente.




I libri di Luca Ricci

Duepigrecoerre d’amore (Addictions, 2000)
Il piede nel letto (Alacran, 2005)
L’amore e altre forme d’odio (Einaudi 2006, versione ebook 2014)
La persecuzione del rigorista (Einaudi, 2008, versione ebook 2013)
Come scrivere un best seller in 57 giorni (Laterza, 2009, versione ebook 2011)
Mabel dice sì (Einaudi, 2012, versione ebook 2012)
L’acciambellato (I Corsivi del Corriere della Sera, 2013)
Ferragosto addio! (Quanti Einaudi, 2013)
Fantasmi dell’aldiquà (La scuola di Pitagora, 2014)
Lo strano caso della libreria antiquaria (I Corsivi del Corriere della Sera, 2015)
I difetti fondamentali (Rizzoli, 2017)

(Fonte wikipedia)




Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).