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Power Rangers

Vi ricordate i Power Rangers? Di certo se li ricorda Mattia Bertoldi che in “La dura legge di Baywatch”, editore book salad, li passa in rassegna in mezzo a tante scomparse o comparse degli anni 90. E ce li ricorda a noi.



Grazie, Power Ranger verde

Se sei cresciuto negli anni 90 di sicuro ti ricordi dei Power Rangers. E non importa che tu sia maschio o femmina: sicuramente, prima o dopo, hai visto una puntata pure tu.

Merito soprattutto del cast di base (1993-1996) che aveva una sola missione: riunire in una squadra il maggior numero possibile di stereotipi legati alla vita quotidiana degli studenti di un qualunque liceo americano.

C’era per esempio Zack, ragazzo di colore che amava la danza e la pallacanestro. Quando c’era bisogno, svestiva orribili pantaloni alla MC Hammer e gilet multicolori per indossare la tuta di Power Ranger nero (non proprio una scelta politicamente corretta) e guidare il suo Zord a forma di mammut.

Billy era invece il secchione del gruppo (leggi: lo sfigato), con quegli occhialoni tondi e le salopette di jeans. Era il Power Ranger blu e il suo Zord si tramutava in un triceratopo. Trini era il suo corrispettivo, ma in versione femminile. Tratti asiatici, ottimista di natura, interpretava il Power Ranger giallo (cosa avevamo detto del politicamente corretto?).

Guidava uno Zord dalle fattezze di uno smilodonte, cioè una tigre dai denti a sciabola. In compagnia degli altri due, faceva parte del terzetto perfetto per rappresentare la maggior parte delle minoranze presenti in una società multiculturale come quella statunitense.

Poi c’erano i bellocci, quelli che non potevano mancare in un qualunque film adolescenziale. Kimberly, carina e a volte spregiudicata, era perfettamente rappresentata dal colore della sua tuta da Power Ranger (rosa fashion) e si librava in aria a bordo del suo pterodattilo robotico. Jason aveva le fattezze del capitano della squadra di football e sono certo che almeno una volta si è appartato nel suo Zord a forma di Tyrannosaurus rex insieme a Kimberly.




Lui era il Power Ranger rosso, quello rappresentato sempre al centro, che guidava il Megazord e su cui gli occhi di tutti erano puntati.

Tutti noi all’inizio volevamo essere come lui, e non una volta soltanto ma in ogni puntata, anche perché alla fine l’andazzo era sempre lo stesso. Ecco il canovaccio tipo.

Inizio: i nostri cinque beniamini affrontano un problema al limite della banalità nella loro piatta vita da adolescenti, mentre le forze del male ordiscono un piano per annientare l’umanità e assegnano la missione al cattivone di puntata.

Svolgimento: il cattivone di puntata arriva sulla Terra in compagnia di diversi scagnozzi e sorprende uno o più ragazzi, obbligandoli a combattere e a trasformarsi in Power Ranger. Questi si battono come leoni ma soccombono, finché non sopraggiungono gli altri e danno loro una mano. Gli scagnozzi vengono eliminati e il cattivone di puntata, messo alle strette, si trasforma in un gigantesco mostro, mentre i Power Ranger ricorrono ai loro Zord. Dopo qualche minuto di finta ansia, compongono il Megazord che con un colpo di spada – o un’altra arma speciale – sconfigge il nemico.




Finale: i Power Rangers tornano alla vita in incognito e ai problemi di tutti i giorni.

Insomma: una continua propaganda del motto “L’unione fa la forza”. E le storie erano tutte così, dimostrando la stessa monotonia di altre serie di quegli anni come I Cavalieri dello Zodiaco (ma perlomeno lì i personaggi venivano approfonditi un po’ di più dal punto di vista psicologico) e Sailor Moon, dove la novità era data dalla scoperta progressiva delle diverse eroine, a partire da Sailor Mercury e Sailor Mars.

Ma che ci volete fare: eravamo ragazzi ed eravamo ciechi, convinti che i diversi mostri e i loro poteri garantissero alla trama scossoni a sufficienza per rendere il tutto più movimentato. L’assuefazione è infine stata spezzata dal primo, vero
colpo di scena di tutta la prima stagione: l’arrivo di Tommy, alias il Power Ranger verde.

Rappresentava tutto ciò che attendevamo dopo ore di copioni sempre identici: un carattere tormentato, il ruolo da outsider che lo ha portato inizialmente sul fronte dei cattivi al servizio della perfida Rita Repulsa, ma soprattutto la capacità di combattere da solo con un robottone a forma di drago (si chiamava Dragon-zord) e di ribaltare (sempre da solo) le sorti di una battaglia.

Abbiamo tutti preso a tifare per lui, relegando il Power Ranger rosso al ruolo di misera comparsa. E così, cos’hanno fatto gli sceneggiatori? Ce l’hanno tolto, riservandosi arbitrariamente la facoltà di farlo intervenire a loro piacimento, in occasione delle battaglie più cruente. Ormai, però, il giochino si era rotto, il Power Ranger verde ci aveva aperto gli occhi: quella manfrina era andata troppo per le lunghe. E per la prima volta, a metà di una qualunque puntata, ci siamo messi a sbadigliare e abbiamo cambiato canale.

Quindi, grazie Power Ranger verde: ci hai offerto la possibilità di liberarci dal giogo di una ripetitività tossica che si è propagata anno dopo anno, con sottotitoli sempre nuovi (Lost Galaxy, Lightspeed Rescue, Ninja Storm, Jungle Fury, Dino Charge…) e oltre 800 episodi prodotti.

Ce li siamo risparmiati. E te ne siamo grati.