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Titina Maselli

Sabina de Gregori racconta, in un libro Castelvecchi (“Titina Maselli. Autoritratto involontario di una grande artista”), la Roma di Titina Maselli (la pittrice non abbastanza (ri)conosciuta, sorella del regista Citto) a dieci anni dalla scomparsa. Con l’estratto dal libro le dedichiamo un finestra. Da essa guardiamo la Roma della sua infanzia e delle sue prime tele. E’ la Roma di via Sardegna dove vive (in una casa frequentata dalla grande Capitale intellettuale del tempo).

Quella che descrive il fratello regista Citto Maselli: “Era un ambiente bellissimo: c’era Luigi Pirandello, mio padrino di battesimo e nostro parente, suo figlio maggiore Stefano aveva sposato la sorella di mia madre e avevano abitato in Via Nomentana fino al ’38, quando decisero di trasferirsi nel nostro palazzo in Via Sardegna. Pirandello stava sempre a casa nostra, aveva un grande amore per mio padre, che era un giovane intellettuale, professore di Filosofia. Era affascinante, seduceva tutti. Mi ricordo questi pomeriggi in salotto animati da intellettuali dell’epoca come Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli, la moglie Paola Masino, che era una bravissima scrittrice (aveva scritto ‘Periferia’, edito da Mondadori con una copertina meravigliosa, elegantissima). C’erano Alberto Savinio e il figlio più piccolo di Luigi Pirandello, Fausto; Alfredo Casella, il più importante musicista italiano dell’epoca, che frequentava casa nostra insieme alla bellissima figlia Fulvia, di cui eravamo, tutti noi ragazzini, innamorati. C’era anche Palma Bucarelli, che poi diventò la direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Poi, ancora tra gli ospiti fissi, Silvio D’Amico e la moglie Elsa con i figli piccoli Sandro e Lele, mentre Emilio Cecchi, un po’ anziano e un po’ pigro, non si muoveva da casa sua, che era in Corso Italia e la domenica pomeriggio si andava tutti da lui, dove c’era anche la moglie Leonetta Pieraccini e la figlia Suso. C’era tutto un rito la domenica, io ero molto piccolo e mi ricordo che sedevo sul divano e guardavo gli adulti che parlavano, Cecchi era un maestro”. Il libro della de Gregori ripercorre questa Roma talentuosa e pronta a raccogliere l’oro che le passa vicino e farlo fruttare. Di seguito pubblichiamo un estratto sulle origini del talento della Maselli, la prima città dipinta per le strade di piazza Fiume. Irriconoscibile eppure colma di senso nel suo gioco di modernità forse un po’ meneghina.

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«Titina Maselli era a Roma una figura molto nota, di lei mi aveva parlato con ammirazione “maschile” il mio professore di Greco al liceo, il celebre Filippo Maria Pontani. Lui era nato e cresciuto in Via Flavia e mi diceva che negli anni tra il 1945 e il 1955 nella zona di Piazza Fiume, Via Sicilia, il Liceo Tasso e Via Veneto, le due giovani cugine, tra loro legatissime, Titina Maselli e Ninì Pirandello, erano sempre insieme a passeggio e nei caffè di Via Veneto: sorridenti, belle, allegre, per i giovani erano due ammirate e inavvicinabili celebrità. Insomma, conoscevo Titina prima di conoscerla» (Intervista a Franco Serpa, Roma, 18 novembre 2008). Dopo gli studi classici, la Maselli si avvia sulla strada della pittura, incoraggiata anche dal padre, mentre il fratello Citto intraprende la carriera di regista. «L’ho conosciuta alla fine degli anni Cinquanta, dopo il suo ritorno da New York, tramite Piero Guccione, con cui facevo l’Accademia. All’inizio attraverso i suoi occhi: mi accorgevo che c’era Titina in giro quando vedevo lo sguardo di Piero.

Di Guccione ero un po’ innamorata, era di una bellezza e di un fascino che non si possono raccontare. Titina si vestiva in modo particolare e a Roma era una delle persone meno provinciali che si potessero incontrare. Aveva il vento nel suo modo di essere e di stare al mondo» (Intervista a Marilù Eustachio, Roma, 28 novembre 2014). Subito dopo la guerra, la Maselli esce di notte con il cavalletto, in una Roma piena di detriti, povera e mortificata dalle bombe. Tra i suoi luoghi prediletti c’è Piazza Fiume, accanto a Porta Pia, che raffigura più e più volte, senza mai rappresentare con fedeltà il luogo in sé, rendendolo quindi irriconoscibile e archetipo di modernità, di città. «Era una donna che non poteva stare in campagna, ne sarebbe morta. Era una cittadina vera, si vede già dai suoi primissimi quadri, quando dipingeva Piazza Fiume come fosse Piccadilly. Era un impasto di grande naturalezza e grande artificiosità intellettuale.

Palazzo e semaforo verde 1968 acrilico su tela cm 124 x 146 collezione Giovanni Iasilli
Palazzo e semaforo verde
1968
acrilico su tela
cm 124 x 146
collezione Giovanni Iasilli

Questo è un punto centrale della sua sensibilità umana e artistica» (Intervista a Lorenza Trucchi, Roma, 25 ottobre 2014). «Titina non sceglieva di dipingere Piazza Navona, ma preferiva una Roma notturna diversa, dei paesaggi cittadini, urbani, le foglie che la pioggia aveva attaccato sul tram» (Intervista ad Annelisa Alleva, Roma, 27 novembre 2014). Già durante la sua formazione artistica, Titina concentra l’attenzione su temi – la notte, la città, gli stadi, lo sforzo dello sportivo – che l’accompagneranno sempre e che non smetterà di osservare e approfondire anche durante la sua esperienza più matura.

La famiglia Maselli al caffè Zeppa in via Veneto 1942 foto di Palma Bucarelli
La famiglia Maselli al caffè Zeppa in via Veneto
1942
foto di Palma Bucarelli

A vent’anni vende il suo primo quadro fuori dalla cerchia familiare, al noto collezionista torinese Riccardo Gualino. Nel 1945, a ventun anni, sposa il pittore Toti Scialoja, già affermato, protagonista tra gli altri – con Tano Festa, Mario Schifano, Mimmo Rotella – della Scuola Romana. Il matrimonio durerà poco: «troppo simili e tanto diversi per durare» (G. Marotta, In vita di Titina Maselli, «Il Bene Comune», a. V, n. 3, marzo 2005), dirà Gino Marotta. «Quando nel dopoguerra cominciò a lavorare, girava per Roma nelle ore notturne. Erano gli anni in cui iniziavano ad affiorare nuovi materiali industriali che si mescolavano con gli antichi intonaci che ancora resistevano, se pur anneriti dalla povertà degli anni di guerra, dalla sporcizia della città e dalla cattiva conservazione. Apparivano i primi cartelloni pubblicitari, il bitume nelle strade, le vernici industriali. Titina era attratta, per formazione, dalle immagini dell’antico, ma anche assolutamente sedotta dai nuovi materiali. C’era questa differenza fortissima tra la sua silhouette regale e le figure dei pugili e dei calciatori; passava dall’oro al bitume. Tanto erano preziosi gli abiti e gli accessori che indossava, quanto invece erano volutamente vili quelli che usava sulla tela, dai collage con i giornali, alle vernici industriali. Del resto aveva sposato Scialoja, che era tutto proteso all’Informale, al nuovo, e c’era con lui una comunità d’intenti. Ma mentre Scialoja era un sacerdote dell’astrattismo – come mi raccontava Giosetta Fioroni, che era stata sua allieva – ed era per lui inammissibile fare delle figure, le immagini di Titina erano originali perché erano figurative senza essere neorealista, né astratta» (Intervista a Elisabetta Rasy, Roma, 7 novembre 2014).

Tratto da Titina Maselli. Autoritratto involontario di una grande artista di Sabina de Gregori, Castelvecchi Editore.
© 2015 Lit Edizioni Srl
Per gentile concessione

Sabina de Gregori è nata a Ginevra nel 1982, vive e lavora a Roma. Laureata in storia dell’arte, studia i linguaggi del contemporaneo e la street. Ha pubblicato per Castelvecchi “Shepard Fairey. In arte Obey” e “Banksy. Il terrorista dell’arte”, finalista al premio Francesco Alziator 2011 per la saggistica.