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Vespasiani: un nome nobile per una cosa maleodorante

Chi ricorda ancora gli antichi vespasiani? Chi ha azzardato un ingresso nei nuovi? Cronaca storica di un periglioso viaggio nella minzione da toilet.




Chi di voi ricorda e dove quelle ellissi di cemento tutte piscio e acqua a scorrere che va sotto il
colto nome di vespasiani? Orinatoi pensati per un tempo tutto maschio in cui entravi mingevi
e via. Roba, non c’è che dire, dai crismi spontanei che solo l’apparato urinario degli uomini
(per gli uomini) poteva concepire. E quello delle donne non solo aggirare ma scansare con
tutto il legittimo riserbo che imponeva l’attività deputata. La turca avrebbe consentito bisogni
anche “in rosa” ma non ricordo di aver mai visto una donna entrarne o uscirne. Mi ricordo di
me bambino e mamma che ben prima operava un cambio di passo o un attraversamento del
marciapiede. Sì ma dove? Ora me ne sfuggono molti. Di certo me ne ricordo uno a viale
Adriatico. Un altro mi sembra di rammentarlo su via XX Settembre ma potrei sbagliare.

Quelle garitte te le ritrovavi lì in mezzo a un marciapiede. Entravi e ti perdevi in quel separé
una forma intermedia tra farla dietro una frasca o davanti a tutti. Non era ancora il tempo
delle cabine di plastica (o sarà PVC?) dei bagni chimici ad uso straordinario. Né di quelle
astronavi spaziali a monete che li hanno sostituiti in modi ingombranti e inquietanti. Diciamo
però che Roma, diversamente da altre città europee, non ha mai avuto il debole per la
fantascienza in forma di pitale.

In tutti i casi il comune ne ha censiti 55 e parlo di quei piccoli uffici per la minzione con orario 10-16,40 al costo di un obolo.
Ma il comune forse alle prese con il Giubileo entrante ad agosto ne aveva annunciati altri 12. Di certo vi sarà accaduto di incontrare degli incontinenti farne a meno.
Estrarre con grazia il tubo e via d’acqua. Di solito in mezzo ai cassonetti, spesso a un albero.
Un rituale che apprezza la campagna (e ne è ricambiato) ma non apprezza la città (che infatti non ricambia).

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Seguo da tempi non sospetti la casa editrice della rivista “Toilet” che ha studiato una lettura
per tempi di impellenze. Seduti si legge meglio ma il dove della seduta è lasciato ai desiderata
di ognuno. Causa lungaggini deiettive, infatti, c’è chi è lettore da bagno. Della rivista “racconti
brevi e lunghi a seconda del bisogno” che, con un piccolo record autoprodotto stante la crisi
dei racconti e delle riviste letterarie, prosegue il suo lavoro.

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Gli amici di “Toilet” hanno brandizzato questo tipo di lettura a tempo e mi fa piacere sapere che la loro sede si trova sulla Tuscolana, luogo a bassa tenuta di editorialità. Paolo Baron, la mente di tutto il progetto, che incontro per un aperitivo da Giuda Ballerino a Largo Appio Claudio – mi permetto di
consigliare –, mi racconta i nuovi progetti che stanno dando più fiato all’inizio da bagno.

Anche se mi avvolge di quelle curiosità che si è trovato a interfacciare con i suoi lettori
variamente costipati. Mi piacerebbe che ognuno di voi – con più memoria di me o forse solo più tempo per averne – ricordasse a tutti dove erano quelle edicole di cemento.

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Chi di voi sa qual è stato l’ultimo a farsi da parte. Qualcuno che magari sa dove ne rimane uno a me non noto.
Qualcuno che ha racconti o “storie notevoli” di quella presenza urbanistica. Uno che sa dove sono finiti e se ne è stato salvato un prototipo per un futuro hard disk di quello che siamo stati. Nel ricordo della
strada fatta dalle origini, passando per il nome dell’imperatore che passa alla storia – oltre che
per il Colosseo – per averli tassati, fino a oggi che per trovare un luogo per farla tocca spesso
pietire la cortesia di un barista.

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).