poesie

Camiceria del reale

Simona De Salvo pubblica la raccolta “La camiceria brillante dei miei anni” per Marco Saya editore. Una raccolta matura e interessante da cui vi offriamo due poesie.


Le persone hanno sempre da dire qualcosa. Hanno le loro certezze su sé e sugli altri. Su te: “Sei innamorata. / Sei giovane. / Sei una brava ragazza./ Hai una sensibilità incredibile” e “Dice che vent’anni sono comunque troppo pochi / e che le cose si fanno in due”. Ma d’altronde le persone non sempre sono sintoniche. Ad esempio c’è chi rimane uguale a se stesso e c’è chi cambia: “in un Paese che era lo stesso di vent’anni prima / mentre noi eravamo cambiati da cima a fondo” (che bella attestazione politica!). La poesia della De Salvo lotta strenuamente per non essere qualcosa di definito: “Ma ciò che scrivi è prosa o poesia?”, scrive in una poesia che suona programmatica. D’altronde ogni cosa mai è piccola o a portata di mano. Ogni cosa ha gambe, ha futuro e spazio: “sembrava un fenomeno interstellare / quel bacio quasi mancato” e “appena dopo l’elettrauto / l’iperspazio”. Anche ripercorrere, un tempo, un momento, una stagione finisce per avere una sua epica distante e futura: “Si parla di estate, / la mia anima prenderà fuoco da un momento all’altro”. Antonio Bux, curatore (anche della collana), nella IV di copertina si domanda se la giovane età di Simona De Salvo (che è nata a Fiorenzuola D’Arda nel 1993) possa chiamare la poesia a rispondere alle cose, al reale. “La risposta è sì, se poesia è sopravvivere al tempo, testimoniando la propria personale crisi biografica attraverso l’alchimia della sublimazione col mondo”. E in questo orizzonte la divinità d’altronde non può che presentarsi dimessa: “io, Atena / con la sigaretta rotta”. I riferimenti della De Salvo sono dichiarati e sono alti ma non canonici: Anne Sexton, Boris Ryzhy, Cartarescu, Adrienne Rich. Dicono la direzione del cuore, più che del pensiero e in questo offrono una cartografia decisa e reale, un’oggettivizzazione sentimentale che non accetta strade larghe – quelle del canone – ma insegue sentieri più sottili ma non tortuosi – quelli della vita. Vi offriamo tre poesie dalla raccolta.

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Il sole, dalla finestra dell’Hotel Hannover
genera una linea d’ombra sotto il marmo
del davanzale.
È di nuovo estate.
Alla tivù, un documentario sul doppio omicidio di Chris Benoit, in Georgia.
Trovato impiccato nella palestra di casa; la moglie Nancy
e il figlio, strangolati.
L’universo semiotico si dilata nel sole concavo
dell’Hannover,
entra l’odore di mare, pulito e forte
ed entrano altre narrazioni.
Fuori, Riccione sdraiata sulle tegole scure,
dentro, la vita aperta in due
come un fiore tropicale.
Nella stanza dell’albergo, i tuoi destini
giacciono accatastati: sono una camicia, un grembiule
un contratto di tre mesi
al Marinelli.
Quella sorta di dolore pungente
dell’essere senza vie di fuga.
Dell’essere cresciuti troppo in fretta.
Tra poco, il sole si abbasserà sul piatto
d’oro pomeridiano
e tu uscirai, attraversando le file di palme
e ci saranno bar aperti.
Il vento adriatico soffierà sulle carrozzine.
Ti sposterà i capelli.
Sentirai la polarità continua tra vita e morte.

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È accaduto qualcosa ieri mattina.
Stavi seduto nel tuo ufficio, l’odore di frittura
che saliva dalla finestra,
nel blu di un cappotto invernale.
Era mattina verso le dieci, qualche
nuvola strappata nel cielo
io ti pensavo
da un angolo della città
come si pensano le cose
distrattamente.
I professori all’Ateneo
proseguivano le autorevoli lezioni,
la strada si svuotava e riempiva
e la stessa vita proseguiva, dentro una boccia
di pesce rosso
portata in treno.
Ma è accaduto qualcosa ieri mattina,
mentre il vento spezzava gli angoli dei giubbotti,
gli impiegati controllavano
dichiarazioni, i bambini
sugli scivoli penetravano a fondo
della loro realtà;
mentre fattorini coi camion espressi, maestre,
titolari di banche, negozianti
di scarpe da signora
seduti a fumare sigarette
negli angoli
_ e c’era il sole,
mentre fisici nelle loro stanze
ipotizzavano un universo in espansione, stelle
sempre più lontane
e il caffè saliva dalla moka
del condominio, tu
ti sei accorto
di amare tutto, e davvero
tutto, e disgraziatamente.

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Una volta mi sono innamorata, a Piombino
cercavo gomme da masticare
in tabaccheria
un silenzio grandioso, calze nere odore di mare, c’erano
due ragazze in ginocchio
sul marciapiede,
un vecchio Piaggio mangiato di luce
e mozziconi il vento forte
era una mattina d’inverno
mi sono innamorata
disgraziatamente come succede a vent’anni
senza riserve, con la voce incastrata
nei polmoni,
tra le navi da scaricare
e allora sono corsa fuori dal negozio
armata, disarmata
e c’era un sole pazzesco.




Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).