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Claudio muore

Claudio muore: una scena dal libro di Carlo Della Rovere, Le vite nascoste (Europa edizioni).

Uno mi scrive su linkedin. In genere, sono uno che risponde a tutte le mail o messaggi (salvo spam) ed ho memoria di chi non lo fa o lo fa. In genere penso che costi poco essere gentile. Magari veloci per ragioni spesso superflue ma essere gentili è un po’ una base di partenza. Carlo – il nome è fittizio perché il libro che citiamo contiene verità (e vite) nascoste (“ma Le assicuro che tutte le storie sono VERE”) – mi manda questo suo libro. La sua storia alterna il memoriale di una lotta contro il cancro della moglie e il suo lavoro di assistente sociale. Il diario di una lotta (“al mattino con i tossicodipendenti e le loro strazianti storie, a casa a cercare di sostenere mia moglie nella sua battaglia contro la malattia”) resistente di cui qui vi offriamo la storia di Claudio. (roberto carvelli)

Scena 23: Viveva da solo, Claudio, in un appartamento dell’A.T.E.R. Veniva in laboratorio 3 giorni alla settimana.

Aveva provato tutte le droghe, adesso era diventato un alcolista.
Le sue condizioni di salute erano pessime: sieropositivo, non ci vedeva da un occhio, magro ed emaciato. Gli portavano da mangiare gli operatori del comune.

Prendeva l’Antabuse, che è un farmaco antagonista dell’alcol, e manciate di pastiglie retro-virali e ansiolitici. Aveva passato la sua infanzia dormendo in una camera sopra il pollaio, in una contrada. Dopo che suo padre lo abbandonò andando a vivere nel Lazio con un’altra donna e morì sua madre, Claudio visse con una zia. E cominciò a farsi.

Lo conobbi negli ultimi 10 anni della sua vita, e non mi capacitavo di capire il perché non lo ricoverassero in una struttura adatta, perché ogni volta che beveva era una roulette russa: non apriva la porta, non rispondeva al telefono, spaccava tutto.

Ebbi l’occasione di andare più volte a casa sua mentre era in ricaduta, e furono belle prove. C’erano piatti rotti, tutto sporco, mangiare avanzato e lui, con la bocca impastata, che voleva a tutti i costi che mi sedessi sul divano accanto a lui a fumare una sigaretta. Con la coda dell’occhio potevo vedere nascoste dietro al divano bottiglie di superalcolici.

Sebbene avessi avvisato tutti che non sarebbe vissuto a lungo, Claudio si consumò come una candela. L’unico episodio divertente che ebbi con lui fu quello in cui mi chiamò, ubriaco e fumato perso, bestemmiando perché non gli funzionava il video registratore. Salii, guardai tutti i pulsanti del video registratore, controllai il telecomando: niente. Lui era un crescendo di bestemmie e peti. Dio volle che guardai la spina della corrente: era staccata. La riattaccai e tutto funzionò.

Verso la fine, per leggere, usava una grossa lente per l’unico occhio con cui ci vedeva. Quando era lucido intravvedevo una mente intelligente, e il suo sorriso aveva un qualcosa di infantile. Una mattina, dei miei colleghi andarono a portargli le sigarette che ogni tanto gli regalavamo. Nessuno rispose.

Tentarono di aprire la porta socchiusa, ma il corpo di Claudio impediva che si aprisse. Era morto. Andai a vedere quell’uomo sfortunato, che a 45 anni era morto solo come un cane. Lo accarezzai in viso. Mi chiesi se avesse avuto, da vivo, qualche istante di felicità.