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Davide Bregola

Davide Bregola è uno di quegli autori mai piccoli per scelte narrative ma solo per una cecità della macchina editoriale. Ora il Premio Chiara per la sua “Vita segreta dei mammut nella Pianura Padana” (Avagliano) gli consegna una luce inattesa ma giusta anche se tardiva.

Ti iscrivi degnamente in una linea padana che ha dato molto alla letteratura. Ti posso chiedere di farci orientare nel tuo gusto e tra le città disegnando una mappa di scrittori di questa speciale area italiana?

Sì, ho guardato spesso territori e luoghi dai quali provengono Luigi Malerba, Zavattini, Ariosto, Boiardo, Delfini, Celati e così via: sono tutti autori e poeti che hanno trasformato dei luoghi in personaggi, i paesaggi sono personaggi. Qualcuno di loro li ha fatti diventare più filosofici, chi più antropologici, chi poetici.




Io ho trovato il coraggio di scrivere a partire da luoghi microscopici, paesi, frazioni, piccole città di provincia, perché ho avuto dei grandi predecessori che mi hanno fatto scoprire parti e sfumature mai prima raccontati come loro. Direi che anche critici come Dionisotti e le sue geografie letterarie sono stati importanti. Io credo che i luoghi siano come il genio dentro alla lampada per Aladino. Lui sfrega la lampada, toglie la polvere e si specchia sul metallo. Solo così esce il genio ed esaudisce i desideri.

Se immaginassimo i luoghi come fossero una gigantesca lampada, sfregando sotto la patina ritroviamo noi stessi e solo allora ci possiamo rispecchiare per esaudire i desideri. Non so se è chiaro, ma Aladino specchiandosi trova se stesso. Solo allora i desideri si esaudiscono. Si esaudiscono perché finalmente trova il genio che è dentro di lui. Nessuno se n’è accorto ma molti dei racconti inseriti nei Mammut sono percorsi iniziatici di cambiamento, metamorfosi, o fallimenti di metamorfosi. Nessuno se n’è accorto razionalmente, ma forse una parte dei lettori ha avuto delle intuizioni poco leggibili, ha forse intuito che ho provato a sfregare la lampada.


Che effetti ha fatto vincere un premio così importante come il Chiara tra l’altro in finale con un autori ben riconosciuti e contro case editrici più “forti” della Avagliano?

A mio avviso da almeno 10 anni non ha più importanza il marchio grande. Come si sa i grandi marchi spesso sono pachidermi complicati dalle burocrazie mastodontiche. Invece ora la cultura ha bisogno di velocità, vivacità, snellezza. Avagliano ha una tradizione molto forte, ha in catalogo testi come gli elzeviri di Piero Chiara, i racconti di Gozzano, Pontiggia, Grazia Deledda.

Il mio libro sarebbe passato inosservato per un grande e disattento editore, perché mai avrebbe immaginato che avrebbe potuto avere 4 stampe e un premio come il Chiara vinto da autori come Manzini, Trevisan, Celati, Cavazzoni, Lodoli, Vitali, Serena Vitale e tanti altri da me molto rispettati. Vedo che per come sono fatto io non riesco a parlare con dipendenti terrorizzati dalla scadenza di un contratto o dal cambio di padroni. Credo di essere fatto per le relazioni individuali, con artigiani più che da consiglieri d’amministrazione.

Avagliano va benissimo per nascondersi o per farsi notare. Tiene molto ai pochi libri che pubblica. Comunque l’effetto è straniante, alla fine mi han dato il microfono in mano per farmi parlare ma ho balbettato per 3 minuti pensando che scrittori che l’han vinto in questi 30 anni ora sono raccolti nei Meridiani Mondadori. E io non metto insieme il pranzo con la cena.


Le tue presentazioni sono accompagnate da un teatrino per i più piccoli. Come è nata questa abitudine e come sono state create le maschere?

Sono spettacoli di teatro di figura per adulti e bambini. Se ci pensi i burattini sono perfette macchine narrative, vengono messi in scena, hanno bisogno di un canovaccio e di improvvisazione. Sono un esercizio narrativo perfetto, molto efficace, molto più istruttivo di un corso di scrittura in cui si parla di teorie codificate. I burattini sono punk, la baracca è punk, il teatro di figura è un grande romanzo improvvisato e d’avanguardia vera. Ogni volta che metto in scena è come se costruissi un lungo racconto.

Non si cada nell’errore di pensare che i burattini sono solo per bambini. I burattini sono personaggi che possono raccontare anche storie molto difficili, complesse, metafisiche…dipende dalla testa di chi li mette in scena. Secondo me in un mondo di tablet e social i burattini e la baracca e gli oggetti magici hanno un potere dinamitardo molto forte. Contro tutte le foto di tramonti e cappuccini con brioches mezze bruciate i burattini ridono.

Hai scritto, tradotto e tenuto a battesimo varie iniziative intorno a “Il piccolo principe”. Da dove nasce questa passione?

Prima di tutto nasce dalla fissazione avuta per anni verso libri letti da milioni di persone. Fissazione che continua a farmi frequentare testi “per bambini” e capire la testa di Saint-Exupery per provare a scrivere una storia con elementi tali da poter creare qualcosa che potrebbe durare nel tempo e ha la poesia e la forza del Piccolo Principe, o del Profeta di Gibran o di Pinocchio.

Così ho voluto approfondire in particolare questi testi che per molti scrittori sono dozzinali e facili. Siccome non mi fermo alle impressioni degli altri e non mi faccio molto influenzare, mi diverto a scrivere di mammut e appassionati esploratori, per un piccolo editore, e amo costruire burattini da mettere in scena davanti a 150-200 persone. E mi piace rimanere uno sconosciuto che non va in tv o ai festival importanti. E vince il più importante premio italiano dedicato ai racconti editi.

Per info: davidebregola.blogspot.com




Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).