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Elezioni europee, megalotimia e isotimia nelle urne

Il terzo capitolo del nuovo libro di Francis Fukuyama (“Identità”, UTET) è dedicato alla cosiddetta “Terza parte dell’anima”. Il titolo è di per sé intrigante. Spiega il saggista americano che gli esseri umani sono “razionali massimizzatori di utilità” grazie alla fortuna di cui sono dotati cognitivamente per natura.

La teoria si basa su due presupposti: 1 il vantaggio personale e unitario che consegue l’individuo come singolo, 2 l’utilità personale nella scelta individuale.

Fukuyama mette in relazione la massimizzazione del (diverso) profitto di un finanziere o di Madre Teresa di Calcutta poi prende il Socrate della “Repubblica” di Platone a modello e mostra come “la nascita della democrazia moderna è la storia della rimozione della megalotimia da parte della isotimia”.

Mi spiego meglio: per il politologo – lo aveva già espresso nei suoi saggi più noti attorno a “La fine della storia” – ci sono due forme di riconoscimento, che perseguono i cittadini.

La megalotimia, appunto, tipica delle classi sociali che detengono il potere, e per ciò stesso minoritaria, finalizzata a guardare dall’alto in basso gli altri (magari manifestando uno sguardo ancora più allontanante per gli immigrati) per separarsene. E la più diffusa isotimia, aspirazione proveniente questa, invece, dal basso e mossa dal volersi equiparare a chi ha potere e successo.

E questo è evidente e diffuso e tiene banco nei trend topic di ogni social e di ogni aggregatore di notizie (che ha la funzione di rendere evidente e costante questa ricerca, facendo da effetto specchio a tale isotimia con più evidenza delle home incidentali delle testate generaliste).

A corollario, non casualmente anche la nostra letteratura, che fa da specchio al nostro mondo va verso la distopia dividendosi

“simultaneamente in direzione delle due opposte distopie dell’ipercentralizzazione e della frammentazione infinita”.

Il vero bersaglio di Fukuyama e non lo nasconde dall’inizio è Trump e non gli sfugge che il modello è diffuso oltreoceano e dunque ognuno ha il suo mostro e i suoi imitatori.

Il ribaltone finale è però dato dalla comparsa sempre più dell’io interiore e della considerazione che

“la convinzione che ognuno di noi abbia un io interiore degno di rispetto, e che la società circostante potrebbe essere in errore nel non riconoscerlo”

anche se è un fenomeno più recente potrebbe portare a un cambiamento di lungo termine.

Perciò, se anche le elezioni europee andranno nella direzione che tutti temiamo, la speranza che l’io interiore possa alla lunga avere la meglio ci dovrebbe consolare. E farci concludere con Fukuyama:

“L’identità può essere usata per dividere, ma anche, come è successo, per integrare. Questo, in ultima analisi, sarà il rimedio contro le politiche populiste del presente”.




Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).