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La Capria, a voce

Sull’ultimo numero de “l’immaginazione” (il 315) c’è un “A Raffaele La Capria” a cura di Anna Grazia D’Oria che merita la lettura. (Ringraziamo l’editore Manni per la concessione del testo e dell’immagine inclusa nella rivista).

(…)

Gli chiedo come passa le giornate.

“Non esco più, ma ho la terrazza con le piante che curava Ilaria. Ora se ne occupano altri. Le piante indicano la bellezza di esistere, sono vive, sono segno di un mondo parallelo che ci accompagna, con gli uccellini che si posano sui rami e i gabbiani che si fermano sui mattoni e mi guardano, gridano con la voce stridula e volano via. Mi piace osservarli. Vedo dalla terrazza i tetti di Roma, di questa città unica, bella e difficile che è diventata la mia seconda patria e che ora, dall’alto della casa, mi sembra più affascinante perché non sono più travolto nel traffico dei mezzi e nella folla di turisti per le vie”.

Gli chiedo quanto Roma gli ha fatto dimenticare Napoli.

“Napoli rimane al primo posto nel cuore e se penso a qualcosa di bello, se penso alla libertà, penso a Napoli e al suo mare. Mi vedo a Posillipo a nuotare sotto le grotte di Palazzo donn’Anna, mi rivedo giovane con mio fratello e ricordo mio padre e i suoi occhi lucidi quando mi laureai e vedo mia madre che da bambino mi fece già venire il desiderio di scrivere”.

(…)

Gli chiedo ancora di continuare, di dirmi se scrive.

“Sì, è un mio bisogno, ma lo faccio quando ne ho voglia, senza regole, senza progetti, scrivo un diario intimo, i miei pensieri in libertà, quelli che vengono a caso. E sempre arrivano i ricordi di una vita lunga. Qualche volta li leggo a mia figlia Alexandra, che scrive anche lei”.

Quali ricordi ti vengono in mente? “I momenti belli che ho vissuto e sono stati tanti e il mio rapporto sempre forte con Ilaria, prima lettrice e critica impietosa di quello che andavo scrivendo”.

Gli chiedo a quale dei tanti libri che ha pubblicato è più legato e perché.

“Certo a “Ferito a morte”, ma non perché ha vinto lo Strega. È che esprime la forza di vivere, la giovinezza che si interroga e diventa matura. In quelle pagine c’è una filosofia di vita, c’è il sentimento e la riflessione e quella minima storia ha guidato tutte le altre che sono venute fuori, è stata il lievito madre su cui ho costruito quello che penso della vita e che ho cercato di comunicare”.

Questa è una dichiarazione sul laboratorio di scrittura… Sorride anche con gli occhi.

“Non sono mai stato un critico letterario. Altri hanno trovato qualcosa nei miei libri e questo è gratificante per me. Chi legge comunque è padrone assoluto di entrare e uscire dal testo, di condividerlo o rifiutarlo”.

Lo vedo affaticato, ma continua: “Sono insonnolito, non ho mai voglia di cibo, mi piace di più chiudere gli occhi e dormire”.

Guardo quegli occhi che ancora sorridono e sono attivi e gli vedo addosso, nel viso, tutti i suoi novantasette anni e gli chiedo ancora qualcosa da mandare a dire ai lettori de “l’immaginazione”, un messaggio.

“Un consiglio, se vuoi, da chi ha vissuto molto, è di non essere pessimisti, di guardare sempre al lato positivo di ciò che accade, questo aiuta molto ad andare avanti, ad affrontare i problemi che ogni giorno si presentano. E riusciamo ad andare avanti se pensiamo a chi sta peggio di noi”.

Mi congedo, gli dico di continuare a scrivere, che in tanti aspettiamo un nuovo libro.

Risponde subito: “Chi sa, forse il diario diventerà libro a Dio piacendo.”