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La forza del contesto

Abbiamo letto “La forza del contesto” (Laterza) di Andrea Carandini e abbiamo pensato a quanto viva sia l’archeologia.

Contesto si sa viene da connettere e Carandini è un profeta delle connessioni. Uno che è abituato a farsi domande tipo: come portare alla luce dai beni inanimati il potenziale capace di risvegliarli dal sonno che dormono nella loro millenaria storia?

Ora è giunto al redde rationem e usa queste pagine per raccontare non il lavoro ma la grande passione della sua vita, l’archeologia.

Un momento che segue una storia imponente che lo lascia professore emerito di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana presso l’Università di Roma La Sapienza. E che non può non ricordare gli scavi fondamentali operati tra il Palatino e il Foro, scoprendo la prima Roma dell’VIII secolo a.C. e la Roma prima di Roma del IX e del X secolo. E, infine, presidente del FAI.

Come un investigatore saggio, Carandini, si dota di metodologie universali e orchestra come un direttore gli strumenti che ha davanti, cerca le tracce dell’umano nel reperto perché sa che nulla di quello che troviamo avrebbe senso senza i segni della vita precedente che annunciano.

Così l’archeologo scava, assorbito nelle caratteristiche dell’oggetto eppure conscio che quel reperto reca una causa ben iscritta anche se non leggibile che dice cosa è e chi lo ha fatto e quale contesto sociale ne ha permesso la genesi e la conservazione.

Sbaglia chi dice che l’archelogia è lo studio del passato come un laboratorio di rifrazioni ormai sconnesse dal contesto in cui sono state generate. A ben connettere è così l’archeologia: viva come in un libro di Carandini.