racconti

La morte dei moscerini

Con la morte dei moscerini inizia “L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi” di Marino Magliani da poco uscito per Exorma.

Un’autobiografia scritta per frammenti e sequenze che inquadrano il mare, le spiagge i gabbiani e la mosca giapponese in un impeto di nostalgia confortante anche se la rivisitazione della dura infanzia non lo è mai del tutto. Vi offriamo l’attacco del libro.

Mia madre era una formidabile sterminatrice di mosche. In paese la morte delle mosche dipendeva dalle donne, se quel giorno si decideva di prendere il tè da scià Rafelina, a morire erano le mosche della cucina di scià Rafelina.

Non importa se giravano nelle stanze o in sala, prima o poi si sarebbero posate da qualche parte in cucina e scià Rafelina e le sue amiche le avrebbero uccise.

Era un paese stradale, a tratti l’asfalto seguiva le anse ghiaiose del torrente, con vicoli eternamente all’ombra, e panchine di pietra su cui d’estate sedevano donne di ogni età. Poi a una cert’ora le braccianti tornavano agli uliveti e al fresco restavano solo le vecchie.




Vedevo tutte quelle donne salire in colonna come formiche, su per le mulattiere che dividevano gli orti e le vigne, e sparire dietro il costone, per poi rispuntare un attimo, fin quando la fronda azzurra non inghiottiva definitivamente scalinata e colonna.

Le vecchie raccontavano che anticamente esisteva anche un secondo paese, poi erano arrivate le formiche e il fiume nero aveva divorato le case.

Le formiche mi sembravano molto meno furbe delle mosche, le formiche argentine ad esempio entravano e uscivano dalle stesse fessure e bastava spruzzarci un po’ di ddt per mandarcele a morire tutte quante. Le mosche invece certi pericoli li intuiscono e dove andava una non ci girava l’altra o ci arrivava per voli diversi.

Mia madre era la donna più buona della valle ed era una formidabile sterminatrice di mosche.Aveva imparato da sua zia, Lalla Tilina. Lalla Tilina stava seduta in cucina e tu non te ne accorgevi, ma lei mentre ti parlava, studiava le mosche, se erano nervose e avevano scoperto il cibo, una goccia d’acqua, lo zucchero.

Quando una mosca si posava sul tavolo (le gambe verniciate di verde, il piano di marmo, con una tovaglia
di plastica, corta e piuttosto sbiadita) lei apriva la mano, le dita larghe, e intanto che discorreva, succedeva: la mano si muoveva a rastrello, dava uno schiaffetto all’aria, le dita si chiudevano. La mosca veniva uccisa dal mignolo, schiacciata contro il palmo della mano e trascinata, finché il tatto non portava a Lalla Tilina notizie di strutture devastate.