invettive

No vittimə

Cosa possiamo fare per non sentirci vittimə? Uno spunto femminista.

Che cosa possiamo fare quando sentiamo che le ingiustizie si perpetuano senza soluzione di continuità caratterizzando le nostre esistenze direttamente o indirettamente quasi quotidianamente?

Il filosofo Jean Paul Sartre sosteneva che l’esistenza precede l’essenza. Ebbene, se l’esistenza è data, è nella costruzione dell’essenza che siamo liberə. Come la “costruiamo” questa essenza malgrado quello che capita alla nostra esistenza?

Un po’ di tempo fa seguendo il lavoro di Annalisa Camilli che ritengo una delle migliori giornaliste italiane attuali, mi sono imbattuta nella figura di Susan Sontag intellettuale che conoscevo più di nome che di fatto e sono corsa a leggere “Odio sentirmi una vittima”.

Scrive Sontag: “Ogni volta che mi trovo in un pasticcio nella mia vita privata, come accade quando sono attratta dalla persona sbagliata, o quando, per una qualche ragione, mi ritrovo con le spalle al muro – il genere di cose che capita a chiunque – preferisco sempre assumermene la responsabilità, piuttosto che attribuire la colpa a un altro.

Odio sentirmi una vittima. Preferisco dire: «Ecco, ho scelto di innamorarmi di una persona che si è rivelata una carogna». La scelta è stata mia e non mi piace dare la colpa agli altri, anche perché è molto più facile cambiare se stessi che cambiare gli altri.”

Questo testo è stato per me un’epifania perché ho riflettuto sull’enormità della casistica in cui mi ero vista vittima e così avevo visto gli altri. La domanda quindi è: a cosa è servito o a cosa serve?

E mi sono risposta che ogni volta che l’ho fatto non ho migliorato per niente la mia situazione, anzi, l’unica direzione che ho preso è stata un riflusso verso l’interno.

Stesso dicasi per tutte le volte che ho visto come vittime gli altri. Non sono riuscita a guardare il loro potenziale, la loro capacità di uscire dalla situazione, di rigenerarsi, di ripartire, di “rinascere” nonostante le discriminazioni e le ingiustizie subite. Ho guardato il passato invece che il presente e il futuro.

A proposito di questi pensieri vorrei parlare di un libro da me letto recentemente che ha un titolo che è già un manifesto programmatico: “Basta lacrime. Storia politica di una femminista. 1995-2020” di Alessandra Bocchetti edito da VandA.

Bocchetti, classe 1945 (una buona annata per una pacifista), è una cosiddetta “femminista storica”, tra le fondatrici del Centro Culturale Virginia Wolf, regista, intellettuale, scrittrice e soprattutto attivista.

In questo testo ha raccolto articoli scritti per Il Manifesto, saggi, lettere indirizzate a vari politici, discorsi tenuti tra il 1995 e il 2020. 25 anni intensi per la storia italiana e non solo.

Anni di trasformazioni incredibili, anni in cui la società si è fatta via via più complessa, ma in cui il bisogno di essere in prima linea, per le donne, non si è mai assopito, non è mai stato inessenziale.

Oggi il femminismo anche in Italia si è allargato alle mille e più intersezioni di lotta alle discriminazioni. Queste intersezioni le ha abbracciate e le contiene tutte.

Leggere Bocchetti non è però solo riavvolgere un nastro per riguardare cose vicine nel tempo ma apparentemente allontanate dall’eterno presente che spesso ci sembra di vivere.

Leggerla è prendere coscienza (e uso questo termine non a caso) del viaggio che il movimento femminista italiano ha fatto caratterizzandosi come la forza propulsiva che ancora oggi ci spinge a lottare contro tutte le discriminazioni e affronta viso aperto temi ineluttabili come il cambiamento climatico, la difficoltà di accedere a ruoli di potere e di confrontarsi con un sistema capitalista che è ormai in parte alla corda.

Bocchetti ci ricorda proprio questo, che questo movimento ha cambiato realmente la società proprio perché non si è pianto addosso ma ha raccolto proprio quella “potenza” che le donne avevano per spingersi sempre più avanti rivendicando un potere che non deve essere dato loro perché a lungo le donne hanno subito.

No, il potere spetta loro perché esistono tanto quanto gli uomini. Perché la loro esistenza è data. E qui torniamo al pensiero di Sontag e alla fuga dal personaggio di vittima in cui il patriarcato vorrebbe ricacciare non solo le donne ma tutte le persone per qualsivoglia ragione marginalizzate.

Il patriarcato vorrebbe sciogliere questa “potenza” nel solvente del paternalismo. Ma… basta lacrime. Ripartiamo da noi. Senza mai stancarci.




Laureata in storia a Bologna con tesi sul femminismo è insegnante e ricercatrice indipendente ed esperta di studi di genere.