flânerie e viaggetti

Ostia is the new black

Ostia is the new black. Sembra dirlo il cinema e ribadirlo la letteratura da cui spesso quel cinema è tratto.





Ostia is the new black. La questione geopolitica è presto detta. Il quartierone romano – guai a chiedersi perché non sia ancora diventato Comune – si presta a un Far (non troppo far) West delle mire espansionistiche capitoline. La mala, nella realtà spesso romanzata da nostri attenti e consapevoli giornalisti di nera (appunto) e magistrati, trova qui vari cabotaggi per gli imbarchi. Mare aperto o navigazioni a vista, Ostia si presta ad affari più o meno leciti.

D’estate è allegra nella misura di “‘na bira e ‘n calippo” senza che il poveri ma belli trovi in Fregene – sempre più simile a Maccarese – una sponda troppo lontano. O, almeno, meno sforbiciata di una volta.

Coatti non lo si nasce più. Ma Ostia sortisce dalle dune di Castelporziano in qua la malia della trasversalità. Gayfriendly, LGBT dichiarata o simpatizzata, nuovi ricchi e vecchi poveri, nuovi pensatori laterali e artisti, vecchi zozzoni e guardoni e improvvisati amanti dell’azzardo di coppia.

In questa bonaccia della tolleranza perché parlare sorpresi o, peggio, meravigliati di bustarelle e condoni, licenze compravendute e amicizie che contano (i soldi)? E l’eroina e la coca magnificate dai due grandi film di Caligari? Perché slegarle dal tutt’uno?

Un fotogramma iniziale di "Amore tossico"
Un fotogramma iniziale di “Amore tossico”

Da un punto di vista scenografico, Ostia ha finito per rappresentare un teatro di posa ai bordi di Roma e del mare. I fondali di cartapesta cinecittadini trovano qui la realtà edificata o edificabile metropolitana. Un flusso di cantieri che mira al completamento come una zona di una scacchiera di go. E in più una storia già scritta ed ereditata.

Ci piace pensare che un autore cinematografico tra i più misconosciuti abbia legato il suo nome ad Ostia dalla nascita (autoriale) fino alla morte (definitiva se definitiva è la morte). Chi ci legge sa che parliamo ancora di Claudio Caligari e dopo l’immagine di prima da “Amore tossico” due foto di scena dall’ultimo e definitivo “Non essere cattivo”.

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Luca-Marinelli@Matteo-Graia

Eppure la storia non è tutta al nero, c’è per Ostia anche il rosa della canzone dei TheGiornalisti (e della camicia del suo frontman Tommaso Paradiso). Il gruppo romano, da sempre più vicino alle atmosfere della commedia agrodolce (romantici è il loro grido di battaglia) e della felicità borghese di Prati, senza alcun infingimento sa praticare le atmosfere beatnik dei locali del Pigneto e le amicizie ultramurarie di Calcutta. Che è un po’ il segreto che tiene insieme gli ingredienti nella new wave romana, inconsuetamente unita.

Ma, tornando a Ostia, alle nostre estati, alla nostra infanzia, unita è questa lateralità del quartierone romano con i quartieroni (o quartierini) romani in cui viviamo. In cui viviamo anche la fuga verso la sua sabbia. Moto, macchina o trenino che sia noi ci andiamo lì come se allungassimo appena una gamba. Un tuffo, per dirla altrimenti.

Ecco, siamo a Roma, e avviciniamo le palme già dal seggiolino del trenino. Si tratta solo di sfiatare un po’. Meno di quanto conosciamo dai film “sordiani”: quelli a colori più che da quelli a biancoenero che trovavano nelle pozze della marana dell’Aniene l’estate a portata di mano.

La nuova, la vera Ostia, quella datata oggi ci arriva da un cinema che ha rifatto tesoro degli anni Ottanta e della cinematografia “spadara” di Caligari e ora sa che la terra di nessuno trova certezza della non pena nell’interminabile distesa di sabbia e acqua. Gli sterri che hanno dato martirio e santità a Pasolini con un caso giudiziario a forte rischio impunità (o semimpunità).

E allora andiamo, alle brutte passeggeremo tra i villini liberty, penseremo alla casa dove si è addormentato per sempre Massimo Troisi, altro martirio di sé, in cui il cuore e l’amore per il cinema mette in pausa la medicina mascherando un suicidio che è fatto di dimenticanza della finitezza e diventa perciò mito infinito.

Ci muoveremo tra le strade in cui si erano mossi gli eroi neri del nuovo cinema italiano che sta ridando a Roma la sua Gomorra au bord de mer (visto che anche “Gomorra La Serie” ha conosciuto in Ostia la sua trasferta malavitosa).

Una sequenza da "Gomorra Seconda Serie" ambientata a Ostia.
Una sequenza da “Gomorra Seconda Serie” ambientata a Ostia.

Leveremo le scarpe e appoggeremo le palme nude dei piedi sulla sabbia freddo-umida e grideremo al cielo basso tutta l’ingiustizia del Capitale e delle sue manifestazioni tentacolari.

Poi staremo ore a pulirci gli ultimi granelli in mezzo alle dita, mentre due signore dell’Est-Europa si sistemano il trucco. Le guarderemo tamponare la poca liquidità delle loro rimesse con mezzi da poco per poi andare a mangiare chiedendoci se davvero esista un ristorante buono a Ostia e a chi chiederlo se non a un’APP.

Allora il cielo si sarà fatto arancione e le luci del lungomare quasi gialle. Ancora presto. Ancora poco per farla finita e tornare a casa. Allora un posto varrà l’altro e mangiare sarà un fatto casuale da operare dentro una sala di perlinato dietro pesci tramortiti da qualche male generico che non sia la rete o la pesca a strascico.

La mente si sarà fatta scura, senza poesia. Neppure quella di Castel Porziano nell’epoca aurea della versificazione ad happening. Neanche quella “narrata” per l’infanzia da Gianni Rodari:

“A pochi chilometri da Roma c’è la spiaggia di Ostia e i romani d’estate ci vanno a migliaia di migliaia, sulla spiaggia non resta nemmeno lo spazio per scavare una buca con la paletta e chi arriva ultimo non sa dove piantare l’ombrellone”.

Si tratterà di riprendere la via di casa, la Cristoforo Colombo, che, per chi arriva, sembra annunciare “mare!” invece che “terra!” ma con qualche scarto di navigazione satellitare. Il nostro “à rebours” avrà quella laconicità sonnolenta di stop che s’illuminano di rosso al rosso dei semafori: una specie di nostos carico di saudade e di rischi di lapidi e fiori finti al lato del guardrail lì di lato. Ci verrà da pensare a quanto sarebbe bello salvare questa spoon river obsoleta o rinverdita di stagione in stagione da morti sempre vive e inconsolate. Ma un’altra volta. Non stasera.

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).