flânerie e viaggetti

Pantano ciuf ciuf

Questo articolo è uscito sulle pagine romane de “l’Unità” il 5 luglio 2008 con il con il titolo “L’ultimo viaggio del trenino dei colori. Le mille lingue a bordo del la Roma-Pantano verso i casermoni e il nulla agreste della periferia”. L’occasione era l’annunciata ultima corsa del trenino Laziali-Pantano in procinto dei lavori della Metro C. Lo ripubblico così come uscito.


Proprio in questi giorni stavo leggendo un libro che racconta del mitico El Tronchita, un treno ora solo turistico che si avventurava per 400 chilometri di Patagonia disegnando avventure di gente e merci. Con la Transiberiana e l’Orient Express questo treno argentino rappresenta quel po’ di leggenda su rotaia che ci è rimasta attaccata addosso. Il libro di Raúl Argemí, ora tradotto in italiano col titolo «Patagonia Ciuf Ciuf»(la Nuova Frontiera), disegna delle avventure strampalate, le stesse che viene da immaginare sul trenino Laziali-Pantano che si appresta a vedere la fine dei suoi giorni immolato alla Metro C.

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Salgo come in un ultimo viaggio della speranza (del ricordo) sotto una cappa di caldo vigoroso. Tutti, radio e telegiornali, ci invitano a bere e vedo salire mani aggrappate a bottigliette come all’ancora di salvezza di questo andare verso il far west della Casilina che ci traghetterà dal caos di Termini al nulla agreste di Pantano. Uno sull’altro, una razza sull’altra, come se dovessimo salvare tutte le specie dell’homo sapiens a futura memoria. Davanti a me due signore nere si stanno passando una medicina con il relativo bugiardino. Sembra che una non ce la faccia a leggere per l’inedia e chieda all’altra. La scatola ritorna nel silenzio. Da una fila di quattro all’altra due pachistani si stanno lanciando parole che rotolano sospinte in una pallavolo fatta con palloncini gonfiati. Al Pigneto il trenino incontra i più seri convogli diretti a Napoli, un affiancamento pudico mentre le stazioni raccontano l’hip hop dei writers. Si riparte, superato ogni timore di confronto, per la festosa Tor Pignattara.




È tutto un salire e scendere. Di romantico poco o nulla. Sinceramente il dottor Zhivago, se fosse in salsa romana lo ambienterei al lato del 19 o del 14. Non correrei lungo queste pensiline gridando il nome di Lara. Dal finestrino vedo un ragazzo con la casacca gialla della Metro C: sta prefigurando un futuro radioso e intanto interroga un viaggiatore sul domani di questi viaggi che avranno bus sostitutivi in attesa che si compia il miracolo sotterraneo della nuova linea. Gli allunga un depliant che decanta un eldorado da piazzale Clodio a Pantano. Due signori anziani provano a immaginare la Talpa, la mitica creatura degli Inferi che attraverserà il tracciato per portarne a termine i lavori. A Centocelle dove il trenino incontra un museo romano su rotaia – l’altro era stato a Porta Maggiore – si ha la prima impressione di un passaggio di civiltà, da qui in poi si succederanno ere.

Viene da pensare per coppie: Città/Periferia, Quartieri/Campagne, Residence/Borgate, Pittoresco/Squallido, Ricchezza/Miseria. Coppie che si succederanno in alternanza rapidissima tagliando la ricchezza di Torre Gaia che ricorda quella di un film felice della nostra stagione cinematografica, «La Zona». Quello era il Messico questa è Roma ma i muri, le telecamere e la sbarra per proteggersi dalla circostante povertà sono gli stessi. Intanto è passato anche Casilino 900 con le sue baracche a strapiombo sulla spiaggia di questo stradone e un andirivieni di furgoni carichi di famiglie rom. Il cartello: FIGLI DI UNO STESSO PADRE. Torre Spaccata, Torre Maura, Torrenova, Torre Angela, Torre Gaia. Una successione di antichità e umiltà. Case pensate finite e case completate per abusi continui che hanno lasciato pezzi di muri grezzi. A Giardinetti si smantella. Ruspe e bagni chimici per operai che stanno poggiando la loro bacchetta magica su una stazione della futura Metro C. A Finocchio è bastata una P all’inizio e l’atmosfera è diventata quella di una fiaba anche se non sembra di vedere il lieto fine. Pantano. Game Over. Campagna arata e poco altro. Un’insegna dice SEMILAVORATI e BASCULANTI: parole operose. Torno indietro pensando che un giorno forse neppure un succedaneo storico conserverà la memoria di questo treno d’avventure e le nostre pelli finiranno nel gorgo segreto della terra sotto neon sbiancanti.

 

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).