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Paolo Morelli a Testaccio

Questo pezzo su Paolo Morelli e Testaccio è uscito su Il Messaggero.

Dove risiede l’anima di Testaccio? Sepolta al cimitero acattolico tra Shelley, Gramsci e Gregory Corso? O è al mattatoio, dismesso nel 1975, dove si fanno concerti tra i ganci, e dove tutta la immensa sofferenza degli animali ancora deve sfiatare del tutto? O al vecchio campo della Roma, ricoperto da erbacce?

Paolo Morelli cita subito Righetto, il vecchio giornalaio : “A Testaccio non c’è niente, la differenza la fa la gente”. E aggiunge: “ Non è un modo di dire, qui è come un paese di 8.000 abitanti in cui quelli della parte a est trattano con sufficienza quelli a ovest e viceversa. E allora l’anima non può che trovarsi nelle piazze, specie in piazza Testaccio, prima col mercato e quella di ora che è un raro esperimento riuscito di iniziativa dal basso, è stata voluta così e progettata per volontà della gente.

Ed è una meraviglia, molte case qui sono piccole e per tanti rappresenta una specie di salotto”. Mi viene in mente la tradizione anarco-comunista di questa città, forse refrattaria alla modernità. Morelli mi ricorda che a Roma cent’anni fa Umanità Nova vendeva 10.000 copie! E aggiunge: “Forse la mia visione è poco credibile come quella di un innamorato, ma mi sembra che complessivamente qui al rione ci sia ancora un minimo di resistenza ‘naturale’ alle paranoie della modernità.

Su queste basi anche l’accoglienza viene naturale, almeno fino a ora. E del resto voler rendere moderna una città eterna non mi sembra un trionfo per la logica”. C’ un altro aspetto che mi colpisce: il decoro architettonico e la pulizia delle strade: davvero il decoro esterno richiama quello interno? Per Morelli Testaccio ha avuto la fortuna di essere meno appetibile negli anni in cui c’è stata la defoliazione di intere comunità come a Trastevere. Non era abbastanza pittoresco per i ricchi che andavano occupando con protervia zone quasi malfamate e poi abbandonate alla speculazione. È stata la sua struttura umbertina, “poco attraente” a salvarlo. L’aver tenuto compatte le popolazioni native ha fatto sì che si esercitasse un certo controllo e un minimo di cura, almeno rispetto ad altre zone. Piazza Testaccio viene ripulita periodicamente da un comitato rionale.”

Mi chiedo anche se a Testaccio sia abbastanza rappresentata la antica plebe romana – ciabattini, fabbri, pastai, sarti – ora però anche un sarto indiano -, elettricisti, molti barbieri, etc., con la sua generosità e il suo quieto menefreghismo…“Sai – osservaMorelli – a me piace credere a quella favola di Nietzsche, secondo il quale a Roma esistono i romani e i romaneschi, e questi ultimi sono la fazione repubblicana, stoica, quella perdente. I testaccini sono ancora un buon esempio di quel carattere che ha tutti i crismi dell’immutabilità, dell’eternità addirittura. I romaneschi sono sempre uguali da millenni, e quello che viene tacciato di indifferenza è lo sguardo serio e orgoglioso. So che oggi è difficile crederlo, ma il vero carattere romano si fonda sulla moralità”. Come reagiscono i “romaneschi” alla movida?

Secondo Morelli i forzati del divertimento sgangherato sono abbastanza isolati sotto il monte dei Cocci, però “sul monte ci sono le galline, le uova testaccine sono di piccole dimensioni ma molto buone…”. Infine, pensiamo a un personaggio emblematico del quartiere. Per me potrebbe essere il padre di Giggino Di Biagio, un operaio di fabbrica che negli anni ’90 faceva l’insegnante in una scuola di calcio dove andava mio figlio, un maestro di vita che insegna a non dare troppo peso alla sconfitta, che ama il calcio ma aggiunge sempre che il calcio viene dopo lo studio. “Io – conclude Morelli – eleggerei come personaggio Ercole Porcelli, un lavoratore, non dimentichiamoci che questo nasce come rione operaio. Oggi ha più di ottant’anni, ma con lui hai appunto l’impressione di frequentare un Catone. Difatti non va d’accordo con quasi nessuno, un po’ come me, forse per questo andiamo d’accordo”.




È saggista, critico letterario e giornalista. Nel 2007 ha pubblicato un "Dizionario della critica militante" con Giuseppe Leonelli e "Maestri irregolari. Una lezione per il nostro presente", "Meno letteratura, per favore" (2010), "Pasolini" (2012), "Poesia come esperienza. Una formazione nei versi" (2013), "Roma è una bugia" (2014), "Indaffarati" (2016).