Pausa caffè
Dolce come Giuseppe Dolce, gentile come Vincenzo Gentile. Una pausa caffè in fotopoesia.
PAUSA CAFFÈ
di Giuseppe Dolce
Mi dice sempre: “Stai focalizzato”.
Senza zucchero, grazie e un po’ lungo.
Secondo lei mi perdo, parlo d’altro,
non riesco a finire mai un discorso.
Dice: “Stai qui e ora! Nel contesto!
Che poi il tuo contesto sono io”.
Quindi alla fine tutto si riduce
al guardarla negli occhi quando parla
e ad annuire un po’ di tanto in tanto.
Ma che ci posso fare? La mia mente
vaga, ricorda, sogna ad occhi aperti.
Io non mi perdo, bada! Io collego
ieri e oggi, le cose della vita.
Adesso per esempio un lavavetri
al semaforo è raro, ma soltanto
cinque anni fa erano dappertutto.
Offrivano un servizio, questo è vero,
ma sempre nel momento meno adatto.
E poi, quell’aria da professionisti?
Cortesia efficienza acquaesapone:
e pretendevano il soldino, certo.
Anche se tu di quel servizio proprio
non avevi bisogno. Insopportabili.
Non ci metto lo zucchero da anni.
Prima polacchi, e poi bengalesi.
Ma c’era un lavavetri molto strano.
Niente tergicristalli, né sapone:
solo uno straccio di colore grigio
con cui puliva il vetro: ma dei fari.
La scelta non aveva altro motivo
che l’alcolismo di fondo e la sbronza
in primo piano: così mal ridotto
riusciva solo a piegarsi in avanti
per dare una passata con lo straccio
dove non era affatto necessario.
Così, se poi chiedeva la moneta,
lo faceva umilmente, per pietà.
Ecco, io a lui il soldino glielo davo.
E se adesso mi chiedi perché, dico:
sono anch’io come lui. Ho la mia stanza,
i sottoposti, il bonus, gli incentivi,
ma in fondo lavo fari pure io.
Devo riprendere: pausa finita.
Vado a passare lo straccio sul mondo.
Lascia, dài: offro io. Sì, due caffè,
uno per me e uno per l’amico
che è stato tutto il tempo ad ascoltarmi.