flânerie e viaggetti

Ventotene, lontano loggione

Breve viaggio nell’isola di Ventotene ad uso intellettuale per un turista responsabile e consapevole.




“L’isola o piuttosto l’isoletta di Ventotene ha la forma di un tozzo cuneo, una superficie di mezzo chilometro quadrato, brulla e con pochissimi alberi”.
Così Federico Zvab, un esule triestino internato nell’isola.

Che continua: “è assolutamente priva d’acqua; la sua costa è frastagliata e rocciosa con pareti a piombo sul mare; il clima è torrido d’estate, freddissimo d’inverno, variabilissimo in tutte le stagioni. Vi soffia il vento quasi continuamente, piove di rado in estate e molto spesso d’inverno. La parte alta del cuneo e di oltre cento metri di altezza, la parte bassa di venticinque metri circa. Risorse: oltre la pesca, pochi aridi campicelli in pendio producono a condizione che piova a tempo e abbondantemente pochi quintali di lenticchie ortaggi, uva per un centinaio di ettolitri di vino e qualche decina di chili di fichi. Animali: pochi asili qualche capra scarso pollame mai visto null’altro”.

Ecco Ventotene in una delle descrizioni forse più significative tratta dal libro “Ventotene isola di confino” di Filomena Gargiulo, un libro dedicato ai “Confinati politici isolani sotto le leggi speciali 1926-1943”, come recita il sottotitolo. L’editore è il “genoventotenese” Ultima Spiaggia. Chi scrive è uno forse dei meno noti domiciliati forzati nell’isola di Ventotene. I più noti li conosciamo: sono Altiero Spinelli, Sandro Pertini, Eugenio Colorni, Giuseppe Di Vittorio, Camilla Ravera, Ernesto Rossi. E sappiamo di fare torto a molti che con loro possono essere considerati, al pari loro, padri della patria in contumacia. E della più grande patria europea in un anticipo profetico.

Ci riferiamo al Manifesto di Ventotene “Per un’Europa libera e unita” (Ventotene, agosto 1941) che così principia: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”.

Il modo di raccontare l’isola dal di dentro e per forza di questi confinati ha un contraltare nel modo dal di fuori e catartico con cui la saluta Altiero Spinelli che di quel manifesto è stato il principale estensore – con Colorni e Rossi – e che scrive “guardavo sparire l’isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita, avevo fatto la fame, avevo contemplato come da un lontano loggione la tragedia della seconda guerra mondiale, avevo tirato le somme finali di quel che ero andato meditando durante sedici anni, avevo scoperto l’abisso della rassegnazione le virtù del distacco il piacere del pensare pulito l’ebrezza della creazione politica il fremito dell’apparire delle cose impossibili”.




Per noi che ci arriviamo oggi e ripartiamo domani, nei due tre giorni di un weekend o in una settimana di vacanze un po’ monotone magari, segnate dal ritmo lento di un una villeggiatura da borgo di mare tutto questo non può che apparirci similmente claustrofobico. Eppure in queste due descrizioni entrambe dolorose c’è insieme alla pena del confino anche il tripudio della biologia e della natura. Lo stesso che per esempio ha condotto la salma di Altiero Spinelli a rimanere per sempre nella sua isola di Ventotene nonostante il doloroso ricordo del confino.

Si arriva a Ventotene partendo per lo più da Formia con una nave che impiega circa un paio d’ore – ovviamente dipende dal mare dalla corrente – e più o meno lo stesso dal ritorno. Tutto quello che avviene in mezzo è tanta pace e l’incontro con una popolazione molto particolare, quella dei Ventotenesi: familiare eppure ruvida, riservata e scabra ma accogliente e liberale nelle sue manifestazioni di attenzione e disattenzione.

La presenza del passato nella isola di Ventotene non può passare inosservata: i riflessi del luogo di confino sono evidenti a chi passeggia per le poche strade dell’isola nel silenzio delle serate rotte forse da qualche semplice festa. Ventotene è l’isola dove trovare il rifugio, dove leggere i propri libri amati, rileggere le proprie cose care, scrivere le proprie idee e non casualmente è divenuto un luogo di sosta forzata per scrittori a cui commissionare un racconto come avviene da qualche anno chiamando a raccolta le idee migliori dei migliori autori italiani (Gita al Faro, diretta da Loredana Lipperini, che vede coinvolti alcuni tra i più interessanti scrittori italiani).




Non può pareggiare i divertimenti di Ponza né la nobiltà delle sue ville e altre forme di forbice tra le classi. Ventotene accoglie tutti a tutti dona quel che tutti possono portarsi via, quel che possiede, se pure a caro prezzo come nel caso delle lenticchie (una produzione tutto sommato minima e perciò più costosa), poche altre cose. Quello che uno porta via da Ventotene è la sua luce al tramonto e all’alba, e questo incontro con la storia, quell’incontro per cui un uomo ha dovuto sopportare il peso del controllo e dell’asilo ma ne ha fatto un punto di forza.

Da Ventotene ci si separa con una piccola pena forse la stessa di Altiero Spinelli che qui scrisse il manifesto che ha segnato la nascita dell’Europa e ha determinato da questa piccola isola il nascere di una consapevolezza più universale. Nascita segnata da un dolore, quello del confino della dittatura e non è un caso che a Ventotene ritorni l’Europa dopo aver confinato qui quelli che ne furono i pensatori più larghi di futuro.

Qualche giorno nell’isola porta con sé, forse indotta dai pensieri dei confinati, dei loro passi sempre ripetuti e sempre controllati dalle garitte disseminate agli angoli delle poche strade, che segnano una basilare topografia, qualche giorno nell’isola di Ventotene – dicevamo – contiene in sé tutto il silenzio e tutte le parole di una scelta subita e superata nella sua sottomissione. Per questo è un’isola adatta a chi vuole fare di una sua vacanza un momento di riflessione e di superamento di stalli, di blocchi, di pene.

Qui si possono prendere le grandi decisioni, segnare scelte magari in un caffè sotto il verde pergolato della piazzetta (Da Verde) oppure in un curatissimo pranzo o cena a Il Giardino qualche giorno in una stanza dai soffitti alti con le volte scoprire il poco di cui si ha bisogno per scoprire il tanto di cui si può fare a meno. Ventotene con i suoi pranzi di pesce, il suo tempo dilatato le due-tre piccole spiagge che ne fanno un luogo di approdo per le barche il luogo ideale dove bagnarsi in quello che Umberto Terracini chiamerà “uno scoglio squallido un atomo di miseria nella distesa immensa del mare”.

“La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà” come conclude il Manifesto di Ventotene così si conclude il nostro viaggio, un viatico per chi va per mare e che sa che le onde non sono sempre calme né i soggiorni nel silenzio sono portatori di sola pace.

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).