flânerie e viaggetti

Via da Shangai

Tor Marancia sotto la luce del tempo. Murales che si animano ogni giorno in base all’interazione di chi ci vive dietro. Già, chi ci vive dietro? Ed è contento o vuole andare via?



Percorrendo la Cristoforo Colombo in direzione Ostia, sulla sinistra si trova viale di Tor Marancia. Pochi metri e sorge un complesso di abitazioni diventato un unicum romano, una specie di zoo della street art dove i murales anziché vagare liberi per la città, sono stati raccolti nella cattività di un parco in cui si possono guardare come attraverso le gabbie.

In questa borgata a partire dal 1933 furono trasferiti tutti gli abitanti dei Fori Imperiali che il duce fece sfollare per radere al suolo le case e realizzare il viale celebrativo. A causa del suo sovrappopolamento e delle continue alluvioni ed esondazioni del fosso di Tor Carbone, questo luogo venne paragonato a una metropoli cinese. Oggi c’è una scritta che dice Benvenuti a Shanghai.

Già da fuori si intravedono i colori e i disegni che stridono con tutto quello che c’è intorno. Le due facciate esterne hanno dei graffiti che le ricoprono per intero. Sulla prima c’è una coppia di lottatori di wrestling mascherati, alti oltre cinque metri mentre sull’altra un bambino che si arrampica sull’intonaco grazie a una scala disegnata coi pastelli. Si capisce dalle matite che sono tutte sparse ai suoi piedi e sembrano uscite dalle cassette di plastica colorata accatastate fuori dalla frutteria che si trova al piano terra, almeno finché l’ortolano non ritirerà tutto e abbasserà la serranda.




Si entra dentro il condominio attraverso una porticina su cui hanno messo un avviso che invita al rispetto nei confronti di chi in quel posto ci vive. Poi il colpo d’occhio e si cammina come dei nani dentro una pinacoteca gigante. Gli edifici sono delle tele su cui hanno dipinto mentre gli alberi e il cielo di Roma sud sullo sfondo sembrano l’unica parte finta del paesaggio. I colori asciugano ogni cosa. Appena due passi dentro quel microcosmo e i controviali della Colombo sono già lontanissimi.

Le facciate sono mobili, degli schermi che vivono come gli appartamenti che contengono. C’è una grande mano su sfondo nero, proprio a metà del pollice una persiana aperta lascia passare la sagoma di un lampadario che a vederlo da sotto gli fa quasi da anello; qualche passo oltre hanno dipinto un cielo azzurro che s’incolla perfettamente a quello vero che gli sta intorno, in mezzo a tutto quel celeste hanno messo un’arancia che fluttua come un pianeta e una testa di gesso dove al posto della pupilla ora c’è una signora che sbatte il tappeto e gli fa fare l’occhiolino, poi assesta l’ultima sgrullata, chiude le imposte e il dipinto torna al suo posto.

Quando cala il sole e si illuminano le finestre tutti gli edifici si animano: alla Madonna gigante sulla palazzina est sembra che abbiano acceso i lumini votivi mentre al bambinello è spuntata l’aureola; più avanti c’è un faccione asiatico alto due piani a cui le orecchie si accendono e si spengono ogni volta che l’inquilino entra o esce da una stanza, o ancora un gruppo di balene che nuota fin sulla terrazza mentre le finestre sono una sciame di meduse fluorescenti; poi un ritratto cubista multicolore con l’orecchio proprio in corrispondenza della finestra del terzo piano, dentro qualcuno sta guardando la tv e quando il Gabibbo impalla lo schermo, gli fa da orecchino di corallo.

Infine, su un palazzetto, hanno disegnato un rosone e adesso pare una chiesa alla messa serale. Se si attraversa tutto il caseggiato, appena fuori sulla facciata esterna c’è il murales di una figura a mezzo busto: è proprio all’opposto ma in corrispondenza del bambino di spalle sulla scala che c’era poco prima di entrare, all’esterno dell’ingresso.

Solo che questo mostra il volto come se l’altro avesse infilato la testa attraverso l’intera fila di edifici per guardare fuori, dall’altra parte oltre la cortina. In realtà la figura che campeggia all’uscita non rappresenta un bambino ma una ragazza sfollata da Borgo Pio negli anni ’30 trasferitasi poi in questo palazzo.

Anche in questo ritratto, come nell’altro, la testa si interrompe poco prima che l’edificio termini, esattamente dove c’è il cornicione della terrazza, quasi lasciando aperta la fontanella del cranio. Stavolta però qualcuno ha completato l’opera senza usare pennelli o spray, anzi in un certo senso l’ha resa viva andando a posizionare con precisione millimetrica una pianta di cycas proprio dove dovevano esserci i capelli.

(c) stefano scanu
(c) stefano scanu
(c) stefano scanu
(c) stefano scanu

Così ormai la ragazza è stata liberata, è viva e ben oltre il palazzo anzi l’ha trasceso a cominciare dalla testa, si capisce dal ponentino che le spettina la frangia. Bisogna fermarsi a guardarla per capire che è lei a muoversi e che presto se ne andrà di nuovo, via da Shanghai, come d’altronde tutto ciò che c’è dentro quel luogo in cui non è mai chiaro quale sia la realtà e quale il trompe-l’oeil.




Sono ritornato a Tor Marancia in diverse occasioni e ogni volta l’ho trovata diversa. Con le facciate un po’ più scolorite, meno vive del solito oppure con le finestre spalancate, i panni stesi fuori e la gente che li tira e si chiama da una parte all’altra facendo muovere tutto. È cambiato soprattutto il graffito della ragazza di Borgo Pio: dall’estate scorsa è cresciuta come il cycas che le fa da parrucca, e adesso sfoggia una zazzera tutta cotonata che supera in altezza anche le antenne condominiali.

Durante gli europei del 2016 l’inquilino del secondo piano ha appeso una bandiera dell’Italia fuori dalla finestra, e in uno slancio di patriottismo alla ragazza è improvvisamente spuntata una spilletta tricolore sul petto. Una domenica invece qualcuno aveva spostato il vaso dal terrazzo ed era come se le avessero fatto la chierica, ricordo che sembrava un frate francescano.

O ancora quella volta che vidi un uomo annaffiare la pianta e pensai che in un certo senso le stesse delicatamente lavando i capelli. Tutte le persone che hanno camminato su quel ballatoio invece sono state l’immagine dei suoi pensieri.

Sono ripassato di nuovo poco tempo fa e ormai la ragazza sta sparendo del tutto, i contorni del viso e gli occhi cominciano a fare tutt’uno con l’intonaco. Scatto una foto per cercare di fermarla mentre un uomo in canottiera si accende una sigaretta alla finestra e prende fresco, proprio sul mento del ritratto. Il fumo sale fino al cycas, ai capelli arruffati, e ogni tanto gli fa qualche nuovo ricciolo.




Stefano Scanu vive a Roma. Nel 2014 ha pubblicato una raccolta di poesie intitolata "Come un albero per un’ampolla", e il saggio narrativo "Buio in sala. Guida breve ai cinema di Roma", tutti per Giulio Perrone Editore.