flânerie e viaggetti

Zola al Campo (Campo de’ Fiori)

Émile Zola tra il 31 ottobre e il 15 dicembre 1894 compone un diario romano. Si tratta di un canovaccio che gli servirà ad ambientare il suo “Roma”, parte di una saga del personaggio di Pierre Froment abate.





Queste pagine sono in libreria per le edizioni napoletane Intra Moenia con il titolo “Il mio viaggio a Roma”. Una lettura che consigliamo non solo per l’armonia della prosa e l’acutezza delle osservazioni (si spazia dal campo lungo dei totali paesaggistici alle minuzie di uno sguardo su palazzi, muri e gente) quanto per la precisione con cui lo scrittore scava nelle questioni aperte della romanità.

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Zola (C) wikipedia

 

In primis, la difficile coabitazione tra laicità e cristianità dal punto di vista dell’equilibrio dei poteri. Le pagine vagliano temi attualissimi, fatte le debite proporzioni. Pensiamo a quello del difficile inurbamento e della crescita esponenziale della densità abitativa nella Capitale: “Poi bisogna tener conto di appetiti e ambizioni, speculatori e costruttori, e i quarantamila operai per le nuove costruzioni e tutti i mestieri connessi”. Tutta una crescita con flussi migratori di ritorno senza che il numero degli abitanti cali al calare dell’offerta di lavoro.




Il romano per Zola “senza un soldo è un gran signore, nessun operaio si lascerà disturbare all’ora di colazione, da mezzogiorno alle tre”. Il Pincio invaso da gente accorsa di domenica per sentire una musica “terribile”. La mancata realizzazione di un porto di mare nel suo prolungamento fluviale che allo scrittore francese sembra una grave perdita e che forse segna il passaggio dalla Roma delle origini a quella della modernità: la perdita di un fulcro commerciale, la scelta di terziarizzazione della città.

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Sabato 10 novembre è a Campo de’ Fiori, circondata di palazzi dalle “altezze diversissime”, e vede la statua di Giordano Bruno transennata. Il mercato: “Molte botteghe con appese stoffe dai colori violenti, blu, rossi, gialli. Macellai con carne sanguinolenta, nerastra, mal preparata (…) Pizzicherie con file di salsicciotti (…) le rivendite di fritture emanano un odore violento (…) Si vendono le castagne calde, le castagne nei secchi, mele, pere, uva, pomodori rossissimi, broccoli, sedano, insalate tutti i legumi, pesce freschissimo”.

Il taccuino di appunti di Zola tiene insieme curiosità e sguardi che scorrono di lato alla bozza preparatoria del suo romanzo con la dovizia di particolari dell’indagine sulla curia romana: le sue abitudini, la sua ricchezza. Ci sono anche le intenzioni: “Passeggio vicino a piazza Cairoli, in via Arenula, c’è una nuova vista su ponte Garibaldi, nuovi passaggi, con i resti sparsi dei vicoli vicini che sono sventrati. Devo dipingere questi vicoli, tutta la vecchia Roma e la ventata delle costruzioni nuove, i grandi edifici bianchi paiono sorgere a caso. I nuovi rivestimenti accanto alle vecchie facciate lebbrose sono le caratteristiche di questo quartiere in trasformazione”. Di cui oggi avrebbe scritto ritraendo forse il nuovo prolungamento dell’8 e la pavimentazione di largo Argentina posando il suo sguardo onnicomprensivo sulla “imperiale” colonia felina come sulla ferraglia che traguarda la Crypta Balbi e la vecchia sede del PCI che fu.




Da Fare
Un cappuccino alla Latteria di Vicolo del Gallo 8.
Un pezzo di pizza al forno di Campo De’ Fiori, 22 – tel. 06 68806662

Founder e direttore di "Perdersi a Roma" collabora con Il Messaggero, il Venerdì e Nuova Ecologia. Ha pubblicato libri di prose, poesie e narrativa di viaggio tra cui "Letti" (Voland), "AmoRomaPerché" (Electa-Mondadori), "La gioia del vagare senza meta" (Ediciclo), "Fùcino" (Il Sirente), "Il mondo nuovo" (Mimesis), "Andare per Saline" (Il Mulino) e "I segni sull'acqua" (D editore).