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Alla mostra di Monet con bambino

Alla mostra di Monet con bambino. Proseguono i diari con prole di Mary De Gregorio.

“Impressione, levar del sole” non è solo il quadro che ha dato il nome alla corrente artistica dell’Impressionismo ma è pure il primo quadro che mi ha fatto amare l’arte. L’ho conosciuto in un poster incorniciato nello studio del mio dentista.

Sala d’attesa nella quale passavo lunghi, penosi pomeriggi. E quell’immagine quasi indefinita, quella barca quieta e solitaria, quegli indescrivibili raggi di sole sull’acqua… La sensazione che ne ricavavo era da Sindrome di Stendhal. Devo a Monet, e in un certo senso al mio dentista, questo mio mai estinto desiderio di andar per mostre e musei. Lo so l’aneddoto fa ridere. O è pietoso. Fate voi. Ma tant’è.

Lo so. Fra pochi giorni questa mostra non si potrà più vedere.
Ma non sono qui per dire che vale la pensa vederla per questo o quel motivo. Non so sono una critica d’arte.

Ma sono qui per raccontare che all’ultimo ce l’ho fatta e sono andata a vederla con mia figlia Albero Meraviglioso. La prima mostra con bebè della mia vita. Sfidando barriere architettoniche, turisti molesti e la paura di pianti inconsolabili.

Lei dentro la fascia. Siamo arrivate in metro scendendo alla fermata Colosseo. L’incanto di emergere dalla stazione e trovarsi il Colosseo in faccia. L’avevo quasi dimenticata. Lei la provava per la prima volta.

Passeggiamo sui Fori Imperiali tra turisti sbadati che ci urtano e musicisti che si esibiscono più o meno discutibilmente. Sulle spalle un pesante zainetto per resistere a tutto: pannolini, sonaglietto, salviette, vestitini di ricambio e acqua per me.

Col passeggino sarebbe parecchio complicata l’ascesa al Vittoriano – Ala Brasini. Ma noi procediamo come un sol corpo e alla biglietteria la pupa è già una star.
Ci inoltriamo e Albero Meraviglioso è estasiata in un tripudio di colori che sono pura energia. Non dà un fiato. Sono molto più chiassosi alcuni turisti teutonici che fanno il percorso più o meno al nostro passo.

Ascolto l’audioguida mentre lei muove la testolina a destra e a manca. E nel ristoro del giardino giapponese di Monet, in un tripudio di ninfee galleggianti, si addormenta. Peccato. Perché non può fare amicizia con un altro pupo che guarda la mostra dal marsupio della madre e che incontriamo solo nell’ultima sala.

Ah! Per le mamme che si volessero avventurare qui per questa mostra o per le future sappiate che in bagno c’è il fasciatoio. Che non è scontato. E finché c’è fasciatoio c’è speranza.




Laureata in storia a Bologna con tesi sul femminismo è insegnante e ricercatrice indipendente ed esperta di studi di genere.