al vivo

Genova, niente di impersonale

Viaggio nel ricordo di Genova nell’anno ventesimo dopo il G8. La democrazia sospesa tra i pestaggi lungomare e un matrimonio in un paese remoto.

Genova è una delle città che amo di più. Così, seccamente. Senza bisogno di raccontarlo con troppe parole posso dire che mi emoziona ogni volta che la penso. E ho pensato a lei con sempre maggiore intensità negli ultimi due-tre anni. Da quando ho realizzato che quest’anno ci sarebbe stato un anniversario storico speciale.

Il 2001 è l’anno che ha cambiato il mondo e non è stato solo per le Torri Gemelle. Tutti si ricordano dove fossero e cosa stessero facendo l’undici settembre. Sì anche io me lo ricordo. Stavo guardando un telefilm in tv e la puntata fu interrotta all’improvviso dalle immagini della prima torre colpita. Per cui ho visto in diretta l’aereo colpire anche la seconda.

Ma molti in Italia e non solo, si ricordano quasi con la stessa nettezza dove fossero e cosa facessero nei caldissimi giorni del G8 di luglio 2001. Se lo ricordano per evidenti ragioni quelli che c’erano ma in maniera impressionante lo ricordano anche quelli che non ci sono andati.

Io non ero a Genova. Troppo giovane per poter anche solo pensare di spostarmi dalle remote località in cui ero fino a Genova, per poter pacificamente andare a dire che no, non ero d’accordo. Che non mi sembrava giusto che un esiguo gruppetto di potenti decidesse per tutto il mondo.

All’epoca capivo ancora pochissimo di politica e forse ci capisco ancora poco vent’anni dopo e con una laurea in storia contemporanea. Tuttavia mia sorella, leggermente più grande di me, era più informata, più dentro i fatti e mi spiegava.

Qualche tempo prima un’amica ci aveva fotocopiato delle pagine sul consumo critico che avevamo con avidità studiato. E ci eravamo dette che no. Non era possibile che certe multinazionali commettessero tali nefandezze.

Che distruggessero la Foresta Amazzonica, che sfruttassero i lavoratori senza un briciolo di pietà, che impiegassero bambini nella produzione, che si facessero pubblicità con storielle e immagini profondamente razziste.

E no, non eravamo d’accordo. Allora mia sorella prese un foglio e fece un riassunto per mia madre, che ovviamente era quella che faceva la spesa, delle cose da non comprare nel modo più assoluto perché era deciso che in quella casa le avremmo boicottate.

Insomma, non avevamo una copia di “No Logo” (praticamente la bibbia su questo tema) ma ci difendevamo. Mia madre era brava, si impegnava un sacco. Ma nelle remote zone dove vivevamo, con due minimarket in croce, era difficile trovare un’alternativa che so, per esempio, alla bevanda zuccherata che tutti conosciamo.

Il foglio è rimasto attaccato sul frigo fino a quando siamo andate a vivere fuori casa al tempo dell’università. Non ricordo ovviamente tutte le marche e quella lista non era minimamente esaustiva. Tuttavia ne ricordo molte.

E ancora mi corre un brivido gelato lungo la schiena se per necessità sono costretta a comprarle e mi sento in grande imbarazzo se qualcuno mi propone di andare a mangiare un hamburger in quel posto lì che sapete.

Quindi non siamo andate a manifestare a Genova né io né mia sorella.
Ma mi ricordo dove eravamo. Erano i giorni di un importante matrimonio in famiglia a cui partecipavamo in qualità di damigelle. Il matrimonio era il 21 luglio. Il giorno dopo l’uccisione di Carlo Giuliani. Il giorno del massacro della Diaz.

Ma noi eravamo in una bolla, quella della cerimonia familiare, a chilometri e chilometri da Genova. Non esistevano gli smartphone all’epoca e abbiamo visto cos’era successo solo nei giorni successivi.

Ripeto. Io capivo solo in parte ma mia sorella di più e mi spiegava. Fu lei a comprare appena uscito “Un anno senza Carlo” che in questi giorni ho ripreso e riletto insieme ad un altro libro dell’epoca che rimane sempre importante “Non lavate questo sangue”. E poi “Diario della settimana” ripescato già qualche anno fa e che rappresenta una pietra miliare della testimonianza dei fatti di quei giorni.

E rivisto “Diaz” e “Carlo Giuliani ragazzo”. In questi giorni MicroMega, Internazionale e Il Manifesto hanno dedicato importanti speciali a quell’esperienza. Sto citando solo le mie limitate letture. Ci saranno altri speciali in edicola, libri da rileggere, documentari da rivedere.

Non sto scrivendo per aggiungere qualcosa alla narrazione. Io non ero lì. Ero a quel matrimonio. Negli anni ho conosciuto persone che c’erano state, al G8. Che le manganellate le avevano prese non alla Diaz ma per strada.

Accecate dai lacrimogeni erano state tratte in salvo dalla compassione di genovesi che avevano aperto il portone di casa e li avevano fatti riparare.
Ma sto scrivendo perché anche nella mia vita quell’evento è stato una frattura e/o una cesura e in questi ultimi vent’anni non ho smesso di cercare notizie e di interrogarmi.

E di riconfermare che quell’anelito ad un mondo migliore possibile portato a Genova da una moltitudine pacifica era un’aspirazione legittima e non un’utopia. Le cose che questo movimento denunciava come il cambiamento climatico, l’insostenibilità della modalità produttiva delle multinazionali etc, si sono realizzate come una profezia.

Ma mentre all’epoca ne parlava solo questo popolo composito definito “altermondista” oggi sono nell’agenda dei cosiddetti grandi. Almeno sulla carta perché è evidente che certe questioni non si riescono più a schivare quindi almeno bisogna far vedere che ci si sta provando.

Il 2001 è l’anno che ha cambiato l’Italia oltre che il mondo. Una violazione dei diritti umani gravissima e inaccettabile per un paese democratico ha investito i manifestanti come una deflagrazione e un ragazzo ha perso la vita. Adesso sono 20 gli anni senza Carlo. Quali sentimenti sentiranno i suoi familiari e i suoi amici?

E’ bello pensare che dopo tutti questi anni molti siano tornati (o andati) a Genova ancora a manifestare e che queste istanze siano più vive che mai non sull’agenda dei grandi ma su quella dell’intera popolazione mondiale.

Uno slogan dell’epoca era “Voi G8 noi 6.000.000.000”. Ognuno può fare la sua parte per vivere in maniera più etica e sostenibile e depotenziare così le iniziative politiche e imprenditoriali disumane e dedite solo al profitto. Ognuno può tenere vigile e allenata la memoria storica per fare in modo che quello che è accaduto a Carlo Giuliani e a tanti manifestanti non accada mai più.




Laureata in storia a Bologna con tesi sul femminismo è insegnante e ricercatrice indipendente ed esperta di studi di genere.